La vita è fatta di incontri. Di persone che trovi per caso e di persone che entrano nella tua vita perché le vai a cercare. Di persone di cui ti innamori e con le quali condividi lunghi tratti della tua esistenza e di altre che entrano in punta di piedi e lasciano tracce importanti.
Così mi è capitato un giorno di trovarmi in ufficio, con un mio collega che mi voleva a tutti i costi presentare una mamma che aveva appena pubblicato un libro. Ho accettato, spinta dalla curiosità che mi muove naturalmente a parlare con gli altri, a conoscerli e, se possibile, a fare un tratto di strada con loro. Ho sempre pensato, e lo penso tuttora, che il modo migliore per andare avanti, per migliorarsi sia quello di ascoltare, incontrare, dialogare. Essere curiosi.
Sono andata in centro a Milano e ho atteso questa persona. È’ arrivata. Una donna affascinate e dallo sguardo magnetico che ha cominciato a raccontarmi la sua storia. Quella di Carolina Bocca, una mamma con quattro figli, un lavoro importante e impegnativo e una situazione complessa come quella di molte famiglie italiane. Due figli avuti dal primo compagno, poi una nuova famiglia, altri due figli, dei nonni presenti e molto coinvolti nella gestione dei ragazzi. Poi, le difficoltà.
Il figlio maschio più grande che si ribella, che soffre, che si smarrisce e che entra nel tunnel della droga. Partendo dalla cosa più semplice. Fuma uno spinello con gli amici. Poi la discesa. Veloce. Inarrestabile. Verso il basso. Fino a quando i genitori lo recuperano “strafatto” su una panchina di un parco. Nascono gli scontri. I confronti tra Carolina e il suo primo compagno, padre di Sebastiano (il protagonista di questa vicenda) per capire come gestire la situazione. L’idea di portarlo a San Patrignano per aiutarlo ad uscire dalla droga, poi scartata. I dubbi. Le perplessità. Il lavoro. Gli altri figli. L’analisi. Una comunità.
Questa storia, già di per sé coinvolgente, perché riguardava una mamma come me, ha avuto un effetto ancora maggiore in quanto, qualche giorno dopo averla sentita, mi è arrivato il libro che Carolina ha scritto sulla vicenda con una dedica toccante. Proprio qualche giorno prima che io mi recassi a San Patrignano per il Positive Economy Forum. “Cara Lucia — iniziava la dedica — eccoci qui. Sono convinta che gli incontri che facciamo nel corso della nostra vita non siano casuali. Come leggerai in questo romanzo siamo, a mio parere, tutti connessi, perché ognuno possa dare e ricevere dagli altri quel tassello mancante”.
Queste parole hanno cominciato a ronzare nella mia testa e a farmi riflettere (una volta di più) sulla responsabilità enorme che abbiamo nei confronti dei nostri figli e sugli effetti che le nostre scelte (anche quelle mosse dalle intenzioni più positive) possono generare. E i tre giorni passati a San Patrignano non hanno fatto altro che alimentare questa sensazione. Nei momenti liberi del convegno leggevo il libro di Carolina per poi cercare negli sguardi dei ragazzi di “Sanpa” quello smarrimento, quel disperato grido di aiuto che in luoghi come quello cominciano a trovare una risposta. Prima dentro di loro e poi in relazione agli altri. La famiglia. Gli affetti.
Per alcuni i figli. Un mondo e un universo ancora molto esteso che esprime il male di vivere che, ogni tanto, attanaglia giovani e meno giovani. Molto facile, spesso, il commento di quelli che guardano da fuori, con distacco. “Quelli che stanno lì se la sono cercata” — mi sono sentita dire l’altro giorno da un conoscente. “Hai dei figli? — gli ho chiesto. Il suo sguardo è cambiato immediatamente e ha riconosciuto: “Capisco quello che vuoi dire, ci penso anche io talvolta”.
La bellezza di questo libro che si intitola Soffia forte il vento nel cuore di mio figlio è tutta qui. Nel percorso che porta un’intera famiglia a mettersi in discussione e a ripensare tutto. Non colpevolizzando soltanto un individuo, ma capendo cosa lo ha portato a smarrirsi. E non sempre lo smarrimento è isolato, anzi. Illuminanti le parole dell’educatrice che accoglie Sebastiano in comunità: “Noi lo prendiamo a patto che tutta la famiglia, specialmente i genitori, sia disposta a mettersi in gioco in un percorso terapeutico congiunto. Perché la fatica la dovete fare tutti, non solo lui. È il patto tra voi e noi: chi varca la soglia non è uno scomodo pacco postale che ci viene affidato e di cui ci si sbarazza, del tipo: Vai in comunità e ci vediamo tra due anni… Per ricostruire, a volte si deve demolire, rimettere le cose a posto, ancor prima che nei nostri residenti nei loro genitori e nelle loro famiglie”. Rimettersi in gioco. Difficile, talvolta frustrante. Talvolta l’unica via di uscita.
“Il più bel regalo che potete fare ai vostri figli — scrive Carolina — è lasciare memoria scritta della vostra vita”. Un testo che invita a riflettere e a ripensare il proprio rapporto coi figli. Io, da quando l’ho letto, cerco il Sebastiano che può nascondersi nei miei figli senza che io me ne accorga. E spero di essere in grado di ascoltarlo e aiutarlo. Spero.