Nel settembre scorso, durante il suo discorso alle Nazioni Unite, papa Francesco ha condannato, tra le tante cose, la “Globalizzazione dell’indifferenza” che l’essere umano ha di fronte alle tante tragedie che flagellano il mondo. Tra queste la criminalità, le mafie e i loro mercati che partono dal narcotraffico per arrivare allo sfruttamento dell’essere umano come schiavo, concetto che ci riporta indietro di secoli e che pensavamo di aver debellato. Ma è ancora presente, e investe 21 milioni di persone, mentre il traffico di esseri umani, schiavitù sessuale, organi e adozioni ben 2 milioni, delle quali il 70 per cento sono donne.



Il tutto non potrebbe svilupparsi senza la complicità di certa politica e della corruzione: per questo è stato organizzato presso la Pontificia Accademia delle Scienze Vaticana un convegno dedicato, al quale hanno partecipato oltre 170 tra giudici e magistrati di tutto il mondo per vedersi e unire le loro idee nella lotta contro questa calamità.



“La Chiesa non deve mettersi in politica, ma deve impegnarsi nella grande politica perché, come diceva Paolo VI, la politica è una delle forme più grandi di carità”, è stata una tra le tante frasi importanti pronunciate dal Sommo Pontefice durante il suo discorso, nel quale ha detto, tra l’altro, come “i giudici siano la prima funzione che caratterizza una società civile”.

Se nel mese di settembre del 2015 le sue parole avevano dato come risultato la risoluzione Meta 8.7 sullo sviluppo sostenibile che includeva la lotta alla schiavitù come un obiettivo da eliminare, documento sottoscritto da 193 Paesi membri dell’Onu, l’incontro vaticano con gli apparati di giustizia più importanti del mondo ha invece partorito una dichiarazione di 10 punti che costituisce un obbligo morale per i giudici e i magistrati presenti al convegno: tra di essi il riconoscimento della schiavitù moderna, la lotta alle organizzazioni criminali che la alimentano, il sequestro dei beni alle mafie e la loro collocazione in contesti diretti da gruppi che si occupano del reinserimento sociale e la riabilitazione delle vittime di queste tratte di esseri umani, la loro difesa giuridica e il reinserimento nella società.



La cosa interessante di questa storica sessione è stata in primo luogo l’interesse delle parti implicate a incontrarsi e lo scoprire che il nodo principale che le separa è proprio costituito dall’incomunicabilità giuridica e di informazione tra Paesi. Nonostante le leggi esistano e siano teoricamente utilissime nella lotta quotidiana contro la criminalità, la sua globalizzazione, il suo rapidissimo adattamento alla situazione mondiale non sono stati seguiti da un’altrettanto logica integrazione legale, giuridica e investigativa. Come segnalato dalla giudice argentina Servini De Cubria, “il problema è che la criminalità corre alla velocità di un aereo mentre la giustizia ancora utilizza un’auto”.

La prova del fatto che quando la collaborazione tra paesi funziona le cose migliorano sensibilmente, si è avuta nelle relazioni dei rappresentanti di Brasile, Danimarca, Costa Rica e Colombia, dove il traffico di organi e di adozioni ha subito un colpo durissimo proprio a causa della rapidità delle indagini e delle rogatorie internazionali. Gli stati però dovrebbero anche intensificare i controlli alle frontiere: lo ha affermato il giudice venezuelano Luis Alberto Petit Guerra, che ha suggerito pure una soluzione che è un po’ l’uovo di Colombo. “La facilità con cui si falsificano i documenti ha dell’incredibile, ma il fenomeno potrebbe essere contrastato attraverso la creazione di una banca dati mondiale comune a tutti gli Stati che fornirebbe in tempo reale, all’atto dell’immissione dei dati nei computer, l’originalità dei documenti, visto che oggi, nell’era informatica, queste cose sono possibili, sempre che esista una volontà comune a livello governativo”, ha detto.

È questo l’altro punto dolente della situazione, perché è ormai assodato come la criminalità globale, attraverso la corruzione e i finanziamenti politici, di fatto contrasti non solo le manovre per combatterla, ma pure quella che sarebbe l’arma più efficace per sconfiggerla: il reinserimento sociale delle masse che vivono ai confini della società e di chi è vittima di mafie. Ciò costituisce qualcosa di importantissimo, che i vari governi faticano a mettere in pratica perché la conquista di un equilibrio sociale in grado di assorbire il fenomeno cozza contro i principi di esclusione che inesorabilmente, anche per la sostanziale connivenza politica, rischiano di portare allo sfascio l’attuale società globalizzata.

Il giudice argentino Diego Sebastian Luciani ha spiegato come il suo Paese sia legalmente all’avanguardia nella lotta alla schiavitù sessuale: ogni anno si registra il reinserimento di 10mila vittime di questo fenomeno nella società. Ma è una goccia nel mare, dato che lo stesso Paese, emerso da alcuni anni come uno dei centri più attivi del narcotraffico, non dispone di strumenti legali efficaci per contrastarlo, come ci confessa il giudice Carlos Alberto Vera Barros di Rosario, una città che è venuta prepotentemente alla ribalta in questo fenomeno, “fatto dovuto principalmente alla stretta relazione dei cartelli con le forze di polizia, cosa che ha permesso lo sviluppo del narcotraffico. Gli arresti e le condanne operate nei loro confronti hanno smantellato le bande criminali che godevano della loro protezione. Anche l’impegno dell’attuale Governo (che ha nella lotta al narcotraffico uno dei suoi obiettivi principali, ndr) in questo campo, sia a livello legislativo che tecnologico, di sicuro ci permetterà una lotta più efficace”.

La notevole presenza italiana al convegno ha messo l’accento sull’attuale fenomeno degli sbarchi sulle nostre coste da parte di masse di emarginati che fuggono dalla morte che li circonda in zone di guerra del Nord Africa e del Medio Oriente. “È in atto tra mille difficoltà un’operazione che punta al recupero dei 700 cadaveri ancora sparsi in mare”, ha affermato il Procuratore generale di Roma Giovanni Salvi. Che ha aggiunto come questa tragedia umana costituisca un gigantesco business per le bande criminali che lo organizzano e ha sottolineato come “nel corso di una telefonata di un esponente mafioso con un alto funzionario comunale di Roma si sia sentito il primo affermare che la povertà rende oggi più della droga”. 

Un messaggio terribile, ma anche una realtà tra le tante che hanno reso storica questa assise, fortemente voluta da una persona che sta tentando di rivoluzionare non solo la Chiesa, ma il mondo in cui viviamo affinché i popoli, attraverso i loro rappresentanti più meritevoli, tornino ad avere la voce che, lentamente ma inesorabilmente, stanno perdendo.

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