I giudici e magistrati provenienti da tutto il mondo che hanno partecipato all’incontro promosso da papa Francesco sulla tratta di persone e la criminalità oltre a sottoscrivere una una dichiarazione di impegno hanno tenuto durante l’evento anche interventi toccanti, come quello di Antonio Ingroia, magistrato che iniziò la sua carriera a fianco di Falcone e Borsellino fino a risultare una figura di primo piano nella lotta alla mafia. Lo abbiamo intervistato a margine del summit.
Dottor Ingroia, che bilancio ci può fare di questo storico incontro?
Sono stati due giorni molto utili perché il confronto tra i vari Paesi del mondo ci fa capire sempre di più di quanto la criminalità organizzata sia un’emergenza permanente che deve essere affrontata sul piano globale, non solo territorialmente, e anche con la partecipazione di più settori della società: il fatto che la Pontificia Accademia organizzi incontri come questo significa che c’è bisogno di una politica diversa, come ha detto il Papa. Che si faccia politica nel senso più alto del termine: “la Chiesa deve fare politica”, ha detto Francesco, e io aggiungo che anche la magistratura deve farlo.
Forse lo sta già facendo.
Ma questo non significa schierarsi da una parte o dall’altra, bensì dare il proprio contributo affinché la politica faccia la sua parte.
In che modo?
Dare poteri e autonomia alla magistratura, stabilire principi di uguaglianza, reti sociali di accoglienza, protezione dei deboli e colpire i potenti — che se lo meritano. Tutte cose che sono emerse dai due giorni alla Pontificia accademia delle scienze sociali. I governanti del mondo devono essere messi di fronte alle loro responsabilità nei confronti dei popoli che governano. Questo messaggio dev’essere portato a conoscenza di tutti da parte dei media. Anche coloro che non hanno partecipato ai lavori devono sapere che possono contare su molte persone nel tentativo di cambiare il mondo, cosa che può apparire un’utopia, ma anche trasformarsi in una realtà. L’alleanza che si è creata nei partecipanti deve essere irrobustita e portata fuori coinvolgendo le varie parti della società affinché ciascuna faccia il suo dovere.
Come mai in Italia non si è dato risalto a questo incontro?
In Italia c’è una vista che si accorcia, e non è colpa dei media: si guarda all’oggi senza pensare a quello che potrebbe accadere domani. Non si osservano i macro-fenomeni perché c’è rassegnazione, conservatorismo, indifferenza, distrazione. C’è in sostanza l’accettazione supina della mafia o della criminalità come una componente del sistema, come una calamità quotidiana. E questo è un fatto che dà un grandissimo aiuto alle mafie. Le tragedie che si consumano nel Mediterraneo e la tratta degli esseri umani vengono percepite alla stessa stregua di un incidente stradale. Attraverso l’impegno di chi va controcorrente dobbiamo cercare di scuotere le coscienze degli italiani.
Un tema appena toccato riguarda l’inclusione non solo delle vittime, ma anche delle masse invisibili di emarginati nella società. In Italia si fa qualcosa per risolvere questo problema?
L’approccio al tema mafia è molto parziale e coinvolge l’emergenza che segue i fatti. Ma poi alla fine ci si dimentica della gravità dei flussi migratori per esempio, che da emergenza si sono trasformati in una costante. Si affronta il tutto con molta superficialità.
Ma voi come magistratura cosa fate, a parte il vostro encomiabile lavoro, per svegliare lo Stato sulle proprie responsabilità?
Anche la magistratura ha le sue colpe… anche i magistrati, nel loro ruolo di coscienza critica, diminuiscono sempre di più, vuoi per il muro di gomma di cui sono circondati nel contrasto alla criminalità, vuoi perché decidono di far carriera non disturbando il manovratore. Per questo le parti più vive e coscienti in ogni settore hanno il dovere di unirsi per svegliare quelle sopite. Usando un termine evangelico, bisogna creare un’alleanza di uomini di buona volontà. Già ci sono organizzazioni e persone che la compongono e, mi duole dirlo, sono più presenti nella Chiesa che nello Stato, ma ciò non deve scoraggiarci, perché lo Stato e la politica devono essere cambiati, ispirandosi alle parole del Papa, che rimane oggi nel mondo la figura più… rivoluzionaria. Quindi un leader l’abbiamo trovato, e a questo punto dobbiamo pensare di rimboccarci le maniche e partecipare, senza commettere l’errore che sempre facciamo, quello di delegare.
Un mafioso, in un dialogo con un alto funzionario citato dal magistrato generale Giovanni Salvi, ha detto che la povertà, il traffico degli immigrati, rende più della cocaina. Com’è possibile?
Perché per entrare nei finanziamenti nazionali e internazionali si sono costituite organizzazioni che sfruttano il flusso migratorio attraverso la realizzazione di strutture fatiscenti, centri di accoglienza trasformati in lager, in cui ospitarli. Per poi incassare i capitali a disposizione.
(Arturo Illia)