Francesco entra spedito nella sala Clementina. Corre diretto verso l’anziano uomo in bianco. E’ il festeggiato. Dopo mesi di eremitaggio Joseph Ratzinger si mostra in pubblico. La talare bianca che gli casca addosso, i capelli candidi, lo sguardo appannato, la pelle opaca di chi va incontro all’addio. Eppure nonostante gli anni si alza con sorprendente agilità e si toglie lo zucchetto, per raccogliere le braccia del Pontefice.
L’immagine non è nuova, ma continua a commuovere. Per l’umiltà e la tenerezza con cui le mani di due pastori, che hanno servito e servono la Chiesa, si cercano e si stringono. A colpire è l’abbraccio saldo, totale in cui si avvolgono e il modo in cui testimoniano al mondo una nuova modalità di governo nella Chiesa. Un solo Papa, Francesco, e un papa emerito, Benedetto. L’energia senile del primo travolge la fragilità dell’altro. E quasi l’annienta.
Ratzinger compie 65 anni di sacerdozio, e ha accettato obbediente la volontà di sottolineare l’anniversario espressa da Francesco. Pochi amici, una porzione selezionata di Curia e lui Benedetto, sereno, compiuto, già orientato al Cielo, per una cerimonia semplice e solenne allo stesso tempo, familiare ed epocale. Ad evocare per primo ciò che accadde quel 29 giugno del 1951, nella Cattedrale di Freising, è Francesco, usando una delle pagine del Vangelo più amate da Benedetto, quella che più di altre sintetizza la vita del predecessore. E’ il “Mi ami?” di Gesù a Pietro la nota dominante di un’esistenza spesa nel servizio sacerdotale e teologico. Ciò che il Papa emerito ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi. Ed è la cosa che decide le giornate, “di sole o di pioggia”, dice Francesco, quella da cui poi “viene anche tutto il resto”.
Nessuno forse ha spiegato meglio il segreto della vita di questo successore di Pietro che ha fatto la storia, pronunciando una rinuncia che si è rivelata essere il più grande “Sì” alla domanda di Gesù. “Mi ami tu?”. Cosa dire se non che l’unica possibilità è la libertà nel desiderare che il Signore sia sempre veramente presente, interiormente accanto, amato e amante. La ricerca dell’amato, come costante della vita sacerdotale: una lezione quella del teologo, del sacerdote e poi del pontefice Ratzinger, che continua ad avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio, servendo la Chiesa dal piccolo monastero dentro il Vaticano.
Francesco paragona, con intuizione felice, il Mater Ecclesiae alla Porziuncola del santo di cui porta il nome. L’angolino che l’altro Francesco aveva scelto presso la Chiesa Madre. Un luogo da cui Benedetto “promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me e a tutta la Chiesa” chiosa Bergoglio.



E’ lì che scatta il secondo abbraccio, colmo di letizia, quella che traspare dal volto mai accigliato di Benedetto, sempre pronto a sottolineare ricordi e riflessioni dei suoi collaboratori invitati a parlare con un sorriso delicato.
Quando prende la parola alla fine, in piedi, regala ancora una volta una sintesi di quella “teologia in ginocchio” di cui è maestro. La parola che pronuncia è quella uscita dai ricordi del giorno dell’ordinazione, impressa sull’immaginetta fatta stampare da un confratello per la prima messa. Eucharistomen. Una parola che dice tutto: un grazie umano e uno compreso nella dimensione cristologica. Un discorso breve, come sempre lucidissimo, tutto a braccio, spedito e ricco di citazioni in greco e latino. Uno dei capolavori ratzingeriani di sintesi dottrinale. Accanto al grazie a Papa Francesco espresso con una profondità unica. “La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui — spiega Benedetto — mi colpisce, mi porta realmente, interiormente”. La voce non si incrina mai, ma al contrario diventa più appassionata e grata. “Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto”.
Non so se qualcuno riuscirà mai a dire qualcosa di così bello e inteso. E così profondamente tenero. Ecco se avevamo bisogno di una immagine della Chiesa Madre, potremo da oggi pensare al vecchio Papa che vive nell’abbraccio del più giovane Pontefice, alla purezza del suo cuore e alla certezza della sua fede. Un nonno saggio, diceva solo domenica scorso Bergoglio sul volo che lo riportava da Yerevan a Roma. Non solo, anche figlio.

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