Durante un servizio del telegiornale compare una scena fantascientifica: grandi schermi, laboratori, pulsanti, tecnici in divisa. Lo speaker racconta che si tratta della nave Ievoli Ivory, specializzata nel recupero di imbarcazioni affondate, e che il relitto che si sta recuperando è quello che della barca di migranti che si inabissò il 18 aprile 2015, portando alla morte di settecento persone, la più grande tragedia dei cosiddetti viaggi della speranza avvenuta nel Mediterraneo.



Dopo più di un anno, dunque, i corpi di quei poveri sventurati, uomini, donne, bambini, potranno essere recuperati: trasportati fino al porto di Augusta, dove li attende una tensostruttura refrigerata, se ne tenterà il riconoscimento, per dare un volto e un’identità a ognuno di loro, e una degna sepoltura, infine. Per tutto questo tempo essi hanno aspettato nel fondo del mare, mentre in superficie la storia continuava, continuavano le vicende belle e dolorose degli uomini, la guerra, l’amore, la Brexit. Silenziosi nella nostra memoria, che per molti di noi è così labile da averli dimenticati, il loro silenzio ci chiedeva proprio il contrario, di non scordarli, di tornare a prenderli, di portare in salvo tutto ciò che di loro ancora esiste.



Molti di quelli che se ne erano dimenticati avranno sicuramente pensato, forse addirittura infastiditi, a che serve tutto questo impiego di risorse: il recupero infatti è avvenuto grazie alla sinergia tra i ministeri della Difesa, dell’Interno, della Salute, dell’Istruzione dell’università e della ricerca, del Commissario straordinario per le persone scomparse, della prefettura di Siracusa e della Procura distrettuale di Catania e vede il coinvolgimento a terra di circa 150 persone al giorno tra cui personale della Marina Militare, dei Vigili del Fuoco, del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, dell’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera (Usmaf), dell’Azienda sanitaria provinciale (Asp), Agenzia della dogana, oltre alle Autorità ed Enti Locali. Il modulo di recupero è stato progettato e realizzato da una società di Trento. Come si vede, una spesa di milioni di euro, se si aggiunge che ad affiancare la nave per il recupero ce n’è un’altra a supporto logistico e di protezione, la San Giorgio della Marina Militare.



A che pro, si saranno chiesto coloro che ricordano le sciagure solo quando entrano in ballo i soldi. Paesi diversi dal nostro avrebbero mai fatto tutto questo? O, semplicemente, avrebbero lasciato che tutto passasse, come una notizia cattiva della cronaca d’oggi? 

Io penso, invece, che proprio questo è ciò di cui andar fieri: questo rispetto dell’uomo, della vita anche quando non c’è più, questo riconoscimento dell’infinita dignità di ogni singola persona, fino agli estremi confini dell’esistenza e del mare. Non c’è spesa che tenga, né debito che non si possa fare. Se dovessi dire con un esempio cos’è la grandezza dell’Italia, ciò di cui veramente essere orgogliosi, indicherei questa notizia. E cos’è l’Europa. Quel posto dove tanti vogliono approdare a costo, come vediamo, della vita. È questo ciò per cui corrono il rischio stesso di morire, un’assoluta dignità della persona, un valore incancellabile della vita, che non viene meno neppure quando è sepolta negli abissi del mare.