Lo scorso venerdì si è svolta l’udienza tecnica sulle analisi genetiche condotte sulla salma di Lidia Macchi, riesumata di recente dal cimitero di Varese. L’intento primario è quello di ritrovare tracce riconducibili al suo assassino. In base a quanto riportato dal sito Varese News, i tecnici sarebbero ancora al lavoro nel tentativo di catalogare tutto ciò che è stato rinvenuto nella bara, selezionando ogni singolo capello. “Siamo ancora lontani da una ricerca di Dna appartenente a estranei. Ci vorranno diversi mesi”, scrive il quotidiano locale. Alla delicata operazione partecipano i Ris di Parma, l’Università di Firenze e l’istituto di Medicina legale di Milano, un pool altamente qualificato per un giallo irrisolto da quasi 30 anni. Si cerca la verità anche sulle armi e sulla loro compatibilità con le ferite riportate sul corpo della giovane Lidia Macchi, ritrovata senza vita il 7 gennaio 1987.



Novità importanti in merito al giallo di Lidia Macchi, la giovane scout di Cl uccisa il cui corpo fu rinvenuto il 7 gennaio del 1987. In base a quanto riportato da Varesenews.it, si tornerà presto a scavare anche a Sass Pinin di Cittiglio, luogo del ritrovamento del cadavere. A confermarlo sarebbe stato lo stesso magistrato che si sta occupando del caso al termine dell’udienza tecnica dal gip sulle analisi genetiche e che si è svolta qualche giorno fa, in riferimento alla salma riesumata della giovane Lidia. Le nuove ricerche con annessi scavi saranno ulteriormente ufficializzate in caso di esito negativo relativamente alle analisi compiute sugli oggetti trovati nel parco di Masnago. Solo in quel caso, dunque, saranno avviate le operazioni anche nel luogo del delitto. L’obiettivo è quello di rinvenire l’arma del delitto di Lidia Macchi ed un paio di occhiali appartenuti alla giovane e mai ritrovati. Il ritrovamento di quest’ultimo oggetto potrebbe portare a disegnare il luogo in cui Lidia fu realmente aggredita. Di ciò ne sarebbe certo l’avvocato della famiglia Macchi.

Ci potrebbe essere la svolta nei prossimi giorni sul caso di Lidia Macchi, la ragazza uccisa 29 anni fa a Varese. In base alla riesumazione del corpo ed in seguito all’arresto di Stefano Binda, un amico della vittima, sono emerse alcuni particolari aggiuntivi rispetto alla prima autopsia di Lidia Macchi. Sono ancora in corso le analisi scientifiche sul corpo, ma secondo i primi risultati è emerso un dato diverso rispetto a quanto considerato finora dalle indagini, ovvero che Lidia non è stata narcotizzata o drogata. Questa nuova pista mette in luce, riporta La Provincia di Varese, che la vittima conosceva bene il suo aguzzino e che non oppose resistenza alla violenza o all’aggressione che la portò alla morte. Rimane da chiarire invece la presenza di tracce biologiche e l’eventuale comparazione con il patrimonio genetico di Stefano Binda. Si tratta comunque di attendere molto tempo, proprio per lo stato di decomposizione avanzata del corpo che richiede delle analisi approfondite con le nuove tecnologie a disposizione degli organi competenti. Nella giornata di venerdì il legale della famiglia Macchi ha ricevuto inoltre risposta affermativa per svolgere delle indagini al Sass Pinì di Cittiglio, luogo incui venne ritrovato il corpo di Lidia Macchi, ma bisognerà prima attendere le verifiche sulle 29 lame ritrovate al parco Mategazza di Masnaga nel febbraio scorso. C’è da sottolineare che secondo gli inquirenti e le analisi il corpo di Lidia Macchi fu solo trasportato al Sass Pinì, mentre venne ucciso altrove, dove non sono state rilevate tracce di sangue tali da giustificare la causa della morte avvenuta per dissanguamento. Nel frattempo i legali di Stefano Binda, gli avvocati Stefano Pasella e Sergio Martelli, hanno ripreso a chiedere che il loro assistito riceva i domiciliari o di ritornare in libertà, dato che “tutti questi accertamenti possono essere eseguiti anche se lui tornasse libero o quanto meno ai domiciliari”. 

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