Vipiteno (Bolzano) — Sull’A22 del Brennero, autostrada di confine, le macchine sfrecciano veloci, ignare, indaffarate. Di lì a pochi chilometri c’è un muro, più metaforico che reale, a separare la gente foresta da quella paesana. Parallela all’autostrada corre la ciclabile dell’alta Val d’Isarco: c’è un atleta che stamattina s’allena, è giovane e purosangue (come porta scritto nella maglietta): si chiama Alex Schwazer. Anche a lui hanno eretto un muro: poco metaforico, pur-troppo reale.
L’andatura è lenta, quasi ridicola per un angelo con piedi di fata come lui. Eppure è violenta, al solo pensiero del fardello che si porta addosso: la Iaaf lo ripudia. L’accusa, seppur singola, è doppia: formalmente è l’ovvietà del doping, quella subdola è l’essersi accasato dal prof. Sandro Donati. Per chi scrive, più la seconda della prima: stavolta il doping potrebbe non c’entrare affatto.
Il prof di mille-e-una battaglie lo segue, lo insegue, non lo perde di vista un solo istante: “Vai, Alex. Questo è il tempo migliore finora”. Controlliamo anche noi: il tempo sull’allungo è dilettantistico, tutt’altro che olimpico. Eppure dice il vero: stamane l’importante sarà portare a casa due ore d’allenamento. Il prof è conscio d’essere una tartaruga al cospetto del sistema, che ha le sembianze di Achille. La strada, certe volte, ha emesso sentenze rocambolesche: “La tartaruga batte Achille perché conosce la strada” (M. Enwall). Per questo, oggi, ci s’allena.
Il fiume Isarco gorgoglia lento sulla destra. C’è un pezzo di nazionale che s’allena in senso opposto: manco un saluto al lebbroso di Racines, manco un cenno al prof-mai-domo. La carenza di stile è riflessa anche nella conduzione del gesto atletico: l’andatura graziata è roba d’altissima ingegneria. “Forza, Alex! Fagliela vedere!” è l’incitamento di un passante lungo la ciclabile. L’uomo dorato di Pechino, che fu anche quello polveroso di Londra, reagisce con un timido accenno, poi rallenta, quasi spegne l’andatura. Il prof spinge sui pedali: due parole infilate nella stringatezza di una frase — “Quello che dobbiamo fare, lo facciamo solo per noi adesso, il resto non conta più nulla” — e il marciatore riprende la sua danza, lenta eppur di fascino. Ai fuoriclasse genetici è necessario saperci parlare.
E’ questa, forse, la grande colpa che il sistema non è disposto a perdonare a Sandro: il vero miracolo non è saper volare in aria, camminare sulle acque. Il vero miracolo è camminare sulla terra. Marciare a tempo di record prendendo a sberleffi il vecchio-compagno doping. Per quanto riguarda la fazione opposta, i campioni di laboratorio, basta poco più di nulla per rimetterli in sesto.
Al giro di boa dell’ora di marcia, il ritmo ritrova colore, la marcia s’appiccica addosso la bellezza di un gesto che a pochi è stato dato in dote. La strada torna a filare liscia: “Dopo la notizia della positività non ho mai smesso di allenarmi nonostante il dolore, la rabbia e l’amarezza che assorbono tutte le mie energie” ha scritto Alex in una nota dopo le contro-analisi di laboratorio.



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Chi, anche solo per quel qualche stagione, s’è allacciato le scarpe, sa bene cosa significhi uscire ad allenarsi sotto il peso di un pur lieve pensiero. Quest’atleta s’allena con al collo l’alito di una balena che nutre se stessa: alle spalle, come difesa, l’esile figura di un vecchio condottiero. E’ la sua protezione: chissà, forse un giorno si saprà che è stata anche la colpa. L’imperdonabile.
Alle olimpiadi di Rio 2016 questi due faticatori non ci andranno affatto. Non vogliono che vadano, disposti a tutto: “Perché mi hanno fatto questo, chiede Alex, io ho risposto: Perché ci hanno fatto questo?” confessa il prof ai microfoni di Tg2000. Al ventesimo allungo, la voce del prof è da urlo: “Questo è il migliore oggi, Alex!” Il ragazzo lo guarda sornione, come a dire: “Che dice, prof: non gira”. Eccolo stanato il vero doping di Sandro: “Oggi questo tempo è importante, Alex, nei prossimi giorni lo prenderemo come punto di riferimento”.
Chi lavora senza doping riconosce il frutto nella gemma, s’innamora della rosa a dicembre, della luna di pomeriggio. Il doping, invece, suggerisce di fare cose scontate: a forza di farle, qualcuno diventa pure lui scontato, pur senza rendersi conto. Alex, questa lezione, ha ammesso di conoscerla a menadito: il solo pensiero gli procura vomito. “Gli sciacalli possono cibarsi di noi, si accomodino. Ma io mi impegnerò ancora di più perché si raggiunga la verità” è la conclusione-non-conclusiva di Sandro.
Dopo due ore esatte a lisciare i bordi delI’Isarco, sull’allenamento calano le serrande: Alex appare sciolto, motivato seppur compresso, deciso a non mollarlo. Non l’oro, bensì il professore che si è giocato l’intera faccia assieme a lui: “Lotterò fino all’ultima possibilità per fare chiarezza su questa storia”. Poi lo abbraccia — “Grazie, professore!” — e sintetizza due ore di gloria polverosa: “Quando sbarcarono sulla luna, dissero: ‘Questo è un piccolo passo per l’uomo, uno gigantesco per l’umanità’, oggi è stato uguale per me”. Chi scrive ha visto: poi ha scritto.
La sfida continua, sulla strada: “A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialzerà e continuerà per la sua strada” disse W. Churchill. La Iaaf ne ha sospesi due bandendone uno: due piccioni con una fava. Alex-senza-doping stava frantumando i cronometri sulla strada per Rio: la cosa più facile era innalzare il muro di una giustizia ad orologeria. Funziona quasi sempre, dappertutto. A vincere così, però, sono capaci tutti, in tanti. Il vile agguato di cui parla il prof-Donati lascia un’amara constatazione: c’è anche chi il doping lo vuole tutelare. Disposto a trasformare i figli in armi per tentare di vincere in tribunale le separazioni non consensuali. Quelle che, gioco-forza, non si riesce a vincere alla pari. Che, alla fine, sarebbe l’essenza dello sport.



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