Non so se si può parlare liberamente del delitto di Fermo. Una tensione esacerbata dalla stampa, da dichiarazioni affrettate di politici impedisce di ragionare, ed evitare di riempirsi la bocca di slogan. Non penso affatto che Fermo sia una città razzista. Sarà una città, come tante città e paesi, esasperata da una convivenza difficile con immigrati che non hanno vera e organizzata accoglienza, e non dalla popolazione, accampati, depositati e visti fatalmente come potenziali sospetti, come rivali in una ricerca sempre più affranta di casa e lavoro. Ma questo non è razzismo: le guerre tra poveri hanno altre motivazioni. Certo, l’ultrà Mancini è certamente uno stupido, e da stupido e rissoso ha usato frasi ingiuriose. Gli stadi sono pieni di idioti che fanno il saluto razzista e gridano sporco negro e tirano banane ai campioni che vivacizzano il nostro calcio spento. Basterebbe cacciarli dalle tifoserie, e non viene fatto.
Mancini da idiota non sa che usare la violenza, verbale e fisica. Probabilmente ha ricevuto una reazione inaspettata, e la sua reazione è stata raddoppiata nella forza bruta. Questo non giustifica affatto la morte di un uomo, ma spiega perlomeno l’intenzione. Che probabilmente non era di uccidere. Ma quando si grida al martirio e il mondo s’indigna per l’assassinio voluto e aggravato di Emmanuel Chidi Namdi, è difficile anche soltanto provare a scusarsi.
Chiariamo: nessun uomo può accettare di sentir insultare la sua donna con un epiteto razzista, e non sempre sappiamo girarci dall’altra parte. Se un tale dice una mala parola a mia mamma io gli dò un pugno, ci ha schiettamente ricordato il papa, anche se è una frase che non mi convince, e non per pacifismo ideologico. Ma il papa parla anche di misericordia, che deve venir prima del pentimento e delle scuse.
Dunque, anche Mancini andrebbe guardato così, anche se ci ripugna. Non so se sia sincero quando dice di voler devolvere ogni suo bene alla vedova, la giovane moglie di Emmanuel. Se sia un modo per tentare di accorciarsi la pena, o per sgravarsi un po’ la coscienza. Chissà. Ma bisogna tenerne conto. Bisogna pensare che anche uno stupido può capire di aver sbagliato, e cercare seppur rozzamente di pagar pegno. La giustizia, anzitutto, si dirà. Vero. Non basta l’obolo, quando si uccide una persona, che lo abbiamo voluto o no. Ma la giustizia dobbiamo lasciare che faccia il suo corso senza indirizzarla a prescindere dalle inchieste e dalle verifiche che si devono anche ai delinquenti, agli omicidi.
Stiamo attenti, dal linciaggio morale a quello fisico il salto non è poi così grande, gli orrori che ci arrivano dall’Asia e dall’Africa mostrano che questo confine viene facilmente attraversato. 



Avrei voluto, vorrei, un po’ di silenzio, su questa storia dolorosa, la preghiera, per chi crede, il lavoro degli inquirenti, senza pressioni, senza che si mobilitino Boldrini e compagni con giudizi ingenerosi verso un’intera comunità. Se al posto di Mancini ci fosse stato un connazionale di Emmanuel, avremmo cercato di immedesimarci nella sua storia disgraziata, non dico ammorbidendo la nostra condanna, ma provando a capire. Deve valere anche per Mancini, come ha ricordato don Vinicio Albanesi, che da una vita si spende per gli ultimi, buoni e cattivi, stranieri e italiani. Ogni colpevole è a suo modo una vittima. Poi, c’è la libertà, di scegliere il male e perseverare in esso. E nessuna scusante sociologica può essere tirata in ballo. Quando è lo straniero che violenta e uccide, quando è l’italiano che violenta e uccide. Non “uno di noi”, ma straniero agli uomini, e alla vita civile.

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