Lunedì scorso, quando ormai le forze stavano abbandonando Bernardo Provenzano, il giudice aveva negato la richiesta di scarcerazione avanzata dall’avvocato del boss. Il motivo è legato, com’è prevedibile, ai trascorsi dell’uomo di Cosa Nostra. I suoi gesti criminali, infatti, lo avrebbero esposto, se non opportunamente protetto, alla possibilità di ricevere atti di rappresaglia. La debolezza fisica non rendeva più favorevole nei suoi confronti la decisione del giudice, che si è mostrato irremovibile e timoroso che il boss potesse essere preso di mira da parte di atti criminali connessi all’attività che egli stesso aveva svolto in vita. La liberazione, anche se non dal carcere, è arrivata comunque, oggi, con la morte.



A volte i casi della vita… oggi è morto Bernardo Provenzano, boss della mafia, simbolo di Cosa Nostra e la Corte Europea di Strasburgo che aveva in carico il ricorso contro il regime di carcere duro, 41bis, proprio oggi ha comunicato al governo italiano che il procedimento è stato avviato e procederà. Incredibile, visto che proprio oggi colui che aveva richiesto il ricorso in appello nel 2013 – sostenendo che la sua detenzione e in particolare il regime del 41bis, erano incompatibili con il suo stato di salute – oggi è scomparso dopo la lunga malattia. Le regole però sono chiare: come riporta l’Ansa, l’esame del ricordo può procedere anche nel caso in cui la persone che ha subito la presunta violenza sia morta. Nel 2013 il primo grado della Corte di Strasburgo aveva respinto la richiesta della famiglia Provenzano, dopo che l’avvocato Rosalba Di Gregorio aveva chiesto al governo italiano l’immediata scarcerazione di Provenzano, ex capo della mafia siciliana.



Il boss della mafia siciliana è morto questa mattina: Bernardo Provenzano ha di fatto “lasciato” solo Totò Riina nei “padrini” corleonesi. Arrivano le prime reazioni anche dal mondo della politica e società siciliana, nella fattispecie importante l’annuncio fatto a mezzo stampa dal questore di Palermo, Guido Longo. «Vieterò i funerali pubblici per Bernardo Provenzano. Ma non commento oltre, non sono solito commentare la morte di qualcuno», sono le brevi e lapidarie parole del responsabile della sicurezza pubblica a Palermo. Niente funerali pubblici per evitare tutta una serie di problemi molto gravi: dalle “santificazioni” del personaggio, di un mafioso condannato e ancora sotto processo prima della morte avvenuta per malattia a 83 anni. Inoltre il rischio è anche quello dell’ordine pubblico con inevitabili presenze poco chiare di personaggi collusi con Cosa Nostra che parteciperebbero in mezzo a gente comune. E poi il rispetto, la memoria delle innumerevoli vittime che ha sulla coscienza la mafia siciliana di cui Provenzano ha giocato un ruolo primario negli scorsi decenni.



Dopo la morte, Bernardo Provenzano è stato trasferito dall’ospedale San Paolo di Milano verso l’obitorio di piazzale Gorini. Qui la salma verrà sottoposta all’autopsia. Il boss di Cosa Nostra si trovava nell’istituto di cura in seguito ad un aggravamento delle sue condizioni di salute che, ormai, avevano da tempo lasciato poco spazio ad una ripresa. Il “corteo” funebre è stato affollato da numerosi militari in servizio che hanno letteralmente scortato il feretro dall’ospedale all’obitorio. Intanto arrivano i commenti dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, che augura al boss la misericordia divina ma chiede a chi è ancora in vita di non rinunciare alla legalità. Anche Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, vuole dire la sua, ma le parole pronunciate dal primo cittadine sono molto più aspre e dure di quelle dell’uomo di chiesa: “Si chiude una esperienza umana, è una pagina vergognosa”, afferma Orlando con decisione.

La notizia della morte di Bernardo Provenzano, giunta all’età di 83 anni dopo una lunga malattia, ha ormai fatto il giro delle maggiori testate. Da anni, come scrive oggi FirenzePost.it, il suo avvocato aveva chiesto che venisse revocato il regime carcerario duro insieme alla sospensione dell’esecuzione della pena a carico del suo assistito, anche alla luce delle conclusioni dei medici che ritenevano Provenzano “non compatibile” con il regime del carcere. A commentare la notizia della morte di colui che per anni è stato definito il boss della Mafia, è stata a Firenze, Giovanna Maggiani Chelli, presidente Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, del maggio 1993. “Ora renderà conto a Dio delle sue azioni e dei suoi crimini”, ha dichiarato in riferimento a colui che è stato uno dei maggiori latitanti d’Italia, arrestato solo nell’aprile di dieci anni fa dopo ben 43 anni di latitanza. Il capo di Cosa Nostra era detenuto in regime di 41 bis presso l’ospedale San Paolo di Milano. I processi a suo carico sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia erano stati sospesi in quanto ritenuto dai medici incapace di partecipare.

Parla anche il legale di Bernardo Provenzano, dopo la notizia della sua morte oggi a 83 anni. Contattata dall’agenzia di stampa Adnkronos, l’avvocato Rosalba Digregorio ha dichiarato: “Bernardo Provenzano, per me, non è morto oggi ma quattro anni fa quando era caduto in carcere. In realtà da quel momento, il 41 bis è stato applicato alla moglie e ai figli, dal momento non era più in grado di intendere e volere, e neppure di parlare”. Alla fine del 2012 Bernardo Provenzano era caduto nel carcere di Parma, dove era detenuto. Da aprile 2014 era stato trasferito nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano dove è morto. La moglie del boss, Saveria Palazzolo, e i figli, Angelo e Paolo, hanno incontrato Bernardo Provenzano lo scorso 10 luglio. E avevano fatto richiesta per poterlo incontrare di nuovo, viste le sue peggiorate condizioni di salute, ma la risposta non è arrivata in tempo.

È morto il boss della Mafia siciliana Bernardo Provenzano e sono in tanti a “non stracciarsi” le vesti dopo la notizia: è sempre molto strano infatti quando viene a mancare una figura scomoda o peggio ancora un criminale come uno dei capi dei Corleonesi come era Provenzano. Di norma infatti la morte di un personaggio famoso fa scattare una serie di celebrazioni a volte anche un po’ stucchevoli, ma ovviamente non può essere questo il caso visto il personaggio in questione. È sempre molto meglio lasciare il commento a chi davvero conosceva la persona in oggetto, in questo caso il poliziotto che nel 2006 arrivò ad arrestare  Bernardo Provenzano nella masseria di Corleone (oggi è Questore di Potenza). Ecco le parole di Giuseppe Gualtieri all’Adnkronos: «Cosa posso dire? Che ricordo con grande emozione il giorno in cui arrestai Provenzano, ricordo le lacrime di tutti i miei ragazzi per quella grande vittoria. Sulla sua morte non ho molto da dire. Certo, non posso dire di essermi commosso per le sue cattive condizioni di salute degli ultimi tempi e per il fatto che fosse rimasto in carcere nonostante le richieste di differimento della pena». Secondo Gualtieri anche le difficili condizioni di salute che aveva Provenzano nelle ultime annate non erano giustificabili per liberarlo dal regime duro del 41 bis, «Si trattava di un problema della gestione carceraria, oltre al suo c’erano tanti altri casi. E lui poteva essere pericoloso anche dal carcere, e nonostante le sue condizioni di salute».

Era stato prorogato lo scorso aprile il regime carcerario del 42 bis a Bernardo Provenzano, il boss di Cosa Nostra morto oggi. Era ricoverato da due anni nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano. Nonostante le sue condizioni di salute non gli erano stati concessi sconti di pena. E pochi mesi fa era stato appunto rinnovato il carcere duro per Bernardo Provenzano. La decisione della proroga del 41 bis fu presa dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, come riferito dall’agenzia di stampa Adnkronos. Secondo il Guardasigilli infatti non era “venuta meno la capacità di Provenzano di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenze, anche in ragione della sua particolare concreta pericolosità”. La posizione da imputato di Bernardo Provenzano era stata sospesa in diversi processi, tra cui quello sulla trattativa tra Stato e mafia, proprio a causa delle sue gravi condizioni di salute.

Bernardo Provenzano è morto dopo un lungo periodo di malattia che aveva sortito anche qualche polemica sollevata dal suo avvocato, Rosalba Di Gregorio, che per lungo tempo aveva chiesto la sospensione del regime carcerario duro, il 41bis, nonostante le condizioni pessime di salute, specie dopo il tentato suicidio nel carcere di Parma, fermato da una guardia penitenziari mentre stava tentando di soffocarsi. Tutti i processi in cui era ancora importato, tra qui il celebre sulla presunta trattativa Stato-Mafia, erano stati sospesi perché il boss di Cosa Nostra era quasi del tutto incapace di partecipare. Decadimento cognitivo, sonno costante, eloquio incomprensibile e quadro neologico in lento ma progressivo peggioramento: la malattia e il cancro, assieme al regime carcerario molto duro, hanno provocato queste condizioni che oggi a Milano hanno di fatto reso il corpo di Bernardo Provenzano senza più vita. Se ne va un boss della Mafia, insieme a Riina uno dei principali protagonisti in negativo della stagione delle stragi e ancora prima della crescita e strutturazione di Cosa Nostra.

Bernardo Provenzano è morto: il boss della Mafia, famoso purtroppo alle cronache per le sue azioni criminali e per il periodo delle Stragi di inizio anni ’90 quando divenne anche boss di Cosa Nostra, dopo l’arresto del socio Toto Riina. È morto in carcere, dove risiedeva dopo l’arresto nel 2006, mettendo fine alla lunghissima latitanza: venne catturato in una masseria di Corleone, dove venne assestato un grossissimo colpo alla mafia siciliana che vide cadere l’ultimo dei Capi cortonesi, augurando un nuovo corso di Cosa Nostra, più lontano dalle stragi ma purtroppo non esenti da tragedie e grossi traffici criminali. Aveva 83 anni Provenzano ed era malato da tempo: le agenzie pochi istanti fa hanno battuto la sua morte in carcere. Si mise idealmente fine alla sua lunga “carriera” da criminale mafioso, condannato a tre ergastoli dopo una latitanza record di 43 anni. Nel 2011 gli venne diagnosticato un cancro alla vescica, probabile causa della sua morte oggi, 13 luglio 2016. Un anno più tardi, nel 2012, tentò addirittura il suicidio nel carcere di Parma dove era stato trasferito sotto regime duro del 41bis riservato a pericolosi criminali mafiosi; famoso per i suoi “pizzini” con cui comunicava e dava ordine durante la latitanza a Corleone e anche durante i primi anni in carcere. Se ne va un protagonista, nostro malgrado, della vita pubblica e criminale del Novecento: l’ultimo dei padrini, entrato come boss di Cosa Nostra dopo l’arresto di Riina. Bernardo Provenzano, detto Il trattore per la violenza con cui falciava le vie dei suoi nemici, è morto, solo e in carcere.