Quando la redazione di questo giornale mi chiede un commento a quel che succede, spero sempre che sia per una cosa bella.
E invece, anche questa volta, è per una disgrazia: l’incidente ferroviario in Puglia, nella tarda mattinata di ieri.
Un incidente che sembra venire da un mondo passato da tempo, su una linea di un solo binario, in cui due treni lanciati a forte velocità si sono schiantati frontalmente, causando ventisei morti e cinquanta feriti.
Le fotografie aeree che la televisione ha prontamente fornito a pochi minuti dallo scontro mostrano sul territorio urbanizzato una terra disegnata a rettangoli, quasi come un quadro di Klee; poi la campagna con i suoi ulivi, ben distanziati da una sapienza secolare. E in mezzo a questa meraviglia della natura e dell’operosità umana, la lunga riga della ferrovia.
Lì, improvvisamente, accade l’inammissibile, come ha detto il presidente Mattarella, dando voce allo sgomento comune. Inutile soffermarsi sui vagoni coinvolti nello scontro, sulle lamiere scagliate a grande distanza. Meno ancora sulla difficoltà dei mezzi di soccorso a raggiungere il luogo del disastro, in aperta campagna. Per ora c’è il dolore per chi ha perso la vita, la trepidazione per chi è ricoverato in ospedale. Detto in altre parole, l’unica cosa da fare è pregare. Per tutti, per i morti, per i feriti, per chi li ha soccorsi, per chi si prende cura di loro adesso, per i loro famigliari, per chi coordina tutto ciò che si muove attorno a questa grande tristezza.
Sembra una contraddizione rivolgersi a quel Dio che permette questo e tanto altro male, anche attraverso l’inerzia, gli errori e i peccati degli uomini, eppure questo piccolo sguardo rivolto verso l’alto, questo piccolo Requiem per chi non c’è più, questa piccola Ave Maria per quelli che sono nel dolore, sono possibili a tutti, anche quelli distanti, che non possono prestare il proprio aiuto come forse vorrebbero.
C’è qualcosa di stonato nella fretta con cui da più parti si assicura che i responsabili verranno individuati e che questa volta si andrà fino in fondo. Certo, non si pretende che i politici tacciano sulle future indagini e sui risvolti tecnici e giuridici dei fatti, tanto meno che si atteggino a baciapile. Lo stato è laico, a ognuno il suo mestiere. Ma il popolo di cui essi fanno parte e che dovrebbero servire ha ben altre risorse e di queste la prima è proprio la preghiera, che non costa nulla, neppure la volubile emozione, ma nasce da quella solidarietà nel dolore che è una delle doti più preziose degli italiani.



Tuttavia, dobbiamo ammettere che ci piacerebbe che, una volta tanto, quella parola risuonasse sulle labbra di chi appare in televisione, o scrive sui giornali, o commenta gli articoli sul web. Soprattutto in una disgrazia come questa, così vicina alla fatalità, quel Dio che scruta le coscienze e prende in mano il destino di ciascuno, dovrebbe esserci. Forse capirebbe anche l’imprecazione e la bestemmia. Ma non la lontananza in cui lo releghiamo, fino a non pronunciare più il suo nome.
Nel 1980 Celentano, figlio della terra di Puglia, scriveva una strana canzone:
Spettabile Signore
è tanto tempo che, io volevo scriverti
lo faccio solo adesso ma io spero che
me leggerai lo stesso.
(…)
La morte, la vita e la partita chi
chi la vincerà.
(…)
Se puoi far qualcosa
anche per chi da te non se lo merita
vuol dire che hai letto, vuol dire che
rispondi di già. 
E scusa gli errori
e la calligrafia non troppo limpida
ma mi trema la mano, come un bambino.
“Adriano”

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