“Bernardo Provenzano era una personalità particolare, atipica: lo confrontavo sempre a Totò Riina e lo vedevo diverso. Era molto più riservato e circospetto, forse anche meno sicuro, ma non per questo meno pericoloso”. E’ il ricordo del generale Mario Mori, ex comandante dei Ros ed ex direttore del Sisde, incarico quest’ultimo che ricopriva nel 2006 quando Provenzano fu arrestato. Il boss di Cosa Nostra è morto ieri a 83 anni nell’ospedale San Paolo di Milano, dove era detenuto al regime di 41 bis. Tutti i processi nei quali era imputato erano stati sospesi per le sue gravi condizioni di salute.



Generale Mori, come si inquadra storicamente la figura di Bernardo Provenzano?

E’ stata sicuramente la figura di un boss mafioso, più coerente con la storia di Cosa Nostra rispetto a Totò Riina. Quest’ultimo era un uomo aggressivo, che tentava addirittura il confronto militare con lo Stato, e ovviamente è stato abbattuto. Provenzano invece si rendeva conto che tutto ciò era molto difficile, anzi impossibile, ed era per una linea più prudente. Il suo obiettivo era piuttosto quello di infiltrare lo Stato per trarne i massimi vantaggi. I fini di Riina e Provenzano erano sempre gli stessi, ma le modalità erano diverse.



Si può dire che Provenzano sia stato uno spartiacque nella storia di Cosa nostra?

No, Provenzano non è stato uno spartiacque, in quanto è sempre rimasto nell’alveo dei comportamenti tipici del mafioso. Lo spartiacque è stato Riina, con modalità d’azione che non erano proprie della storia di Cosa nostra.

Secondo Repubblica.it, “Provenzano ha distrutto Cosa nostra”. E’ così?

Mi sembra un errore. Chi ha distrutto Cosa nostra è stato Totò Riina, non certo Provenzano.

Ci fu rivalità tra i due o soltanto una divergenza di opinioni?

Tra i due non ci fu né una rivalità né una divergenza di opinioni. Riina imponeva la sua linea, e quindi non c’era neanche discussione, né da parte di Provenzano né da parte degli altri.



Provenzano prima della cattura faceva una vita dimessa e passava ore a leggere la Bibbia. Da che cosa nascevano queste caratteristiche?

Queste caratteristiche sono tipiche del mondo mafioso, che ha un rispetto devozionale della Divinità, ma ovviamente di tipo solo formale e non certo sostanziale. Il vivere di poco e quasi miseramente è tipico a sua volta della mentalità mafiosa. Ciò contrasta addirittura in modo clamoroso con il camorrista che invece ha bisogno del lusso, dell’oro e delle poltrone di velluto. Sono due modalità di approccio diverse che distinguono le due organizzazioni malavitose.

Che cosa contava veramente per Provenzano?

Il potere. Provenzano amava esercitarlo non in modo smaccato e clamoroso come Riina, ma in modo più sostanziale.

 

Quanto potere aveva Provenzano nella mafia?

Finché Riina è rimasto operativo, Provenzano aveva delle sfere di competenza in determinate zone del territorio siciliano. Dopo la cattura di Riina anche Provenzano ha avuto meno potere, perché il nuovo capomafia Leoluca Bagarella lo ha di fatto esautorato. Negli ultimi tempi, prima della cattura, Provenzano era solo un personaggio in fuga che non aveva più la possibilità di compiere azioni offensive. Era solo sulla difensiva.

 

Provenzano giunse anche a trattare con lo Stato?

Per quanto ne so io, Provenzano non ha mai trattato con lo Stato, e non c’è nessuno che possa sostenere e documentare che ciò sia avvenuto. Il boss aveva semplicemente rispetto per lo Stato perché sapeva che attaccandolo oltre un certo limite la reazione sarebbe stata violenta, con effetti devastanti per la mafia.

 

Perché lei è così sicuro che Provenzano non trattò con lo Stato?

Perché io non ci ho mai trattato, e non c’è nessuno che a mio giudizio fosse in grado di condurre questa trattativa. Io non conosco un carabiniere o un poliziotto, un finanziere o una guardia di custodia che potendo non avrebbe arrestato Provenzano per avere gli encomi e le prebende che ne sarebbero conseguiti.

 

Provenzano è morto e i principali boss sono stati arrestati. Quanto è forte ancora la mafia?

La mafia è un’organizzazione che si sta sfaldando perché sono venuti meno i suoi principi. La validità di alcuni concetti che sosteneva Cosa nostra, e che facevano parte del suo modo di vedere le cose, man mano nella società non avevano più riscontri. Non c’è più una società come quella di fine ’800 e di buona parte del ’900, che aveva in sé i germi per sostenere l’attività tipica di Cosa nostra. Adesso quel mondo è finito. Non a caso Giovanni Falcone diceva: “Come tutte le cose umane, anche Cosa nostra sta finendo”. Oggi quella profezia si è avverata.

 

(Pietro Vernizzi)