C’è una foto angosciante nel disastro ferroviario di Bari. Il presidente Mattarella ritratto di spalle, incurvate, solo, davanti alla gigantografia su una parete della paginata di un giornale con stampate le foto e le storie delle 23 vittime del disastro: Storie di vite rubate.
Angosciante, perché mentre nelle foto agghiaccianti del disastro ci sono i morti, in quella foto ci sono le colpe, le nostre; del Paese e dello Stato, perché la figura del presidente le assomma. In quelle spalle incurvate, in un solitario raccoglimento, c’è probabilmente anche l’uomo, per giunta un uomo del Sud; l’emozione privata che soppesa destini bruciati, 23 vite e ciò che ne resta nella traiettoria di famiglie e affetti che impazzisce, e che quei treni hanno deragliato su una altra strada da quella del ritorno a casa, dopo un impegno, il lavoro, gli studi.
Una strada che tutto abbuia, e che non rende giustizia alla fatica di quelle vite. Non si nasce pendolari per caso, da nessuna parte; e soprattutto al Sud. Ai parenti Mattarella ha detto: “Vi prometto giustizia”. Più o meno contestualmente, i pm impegnati a fare le prime indagini di quella giustizia, tra il fioccare delle recriminazioni e delle polemiche, hanno messo le mani avanti — in nome di una giustizia sostanziale — su quello che potrebbe ben essere l’esito della giustizia formale: “Errore umano? E’ riduttivo”. Quale che risulterà la posizione processuale dei capistazione di Andria e Corato, ci auguriamo che quelle spalle incurvate ci evitino questa “riduzione” penale delle responsabilità del disastro, che è tutta politica e amministrativa. Quei due capistazione avranno alzato la loro paletta, e fatto la loro telefonata sulla linea a binario unico, decine di volte al giorno per decine di anni; che fa un numero impressionante di volte, in cui entrambi o uno di loro può benissimo avere sbagliato una volta. Ma quella volta, cioè la costante esposizione umana all’errore, sul binario unico e con tecnologie obsolete, vale 23 morti.
Se si vuole capire come si poteva ridurre l’esposizione di 23 vite all’errore umano, basta far caso a qualche altro numero, ricorrente in queste storie del Sud. Tutti concordano nel ritenere le infrastrutture strategiche, per rendere più competitivo il Mezzogiorno. Ma nessuno, né le istituzioni, né il mondo imprenditoriale, è disponibile a investirci i propri soldi. Con il risultato che le risorse disponibili per le opere pubbliche nel Sud Italia si riducono sempre di più a vantaggio di quelle del Centro-Nord. Non si arriva a un terzo dei fondi complessivi, e diminuiscono anno dopo anno. Stando al Cipe, la distribuzione relativa al valore accentua la differenza, in quanto le regioni del Centro-Nord prevedono opere per un valore pari al 75,5 per cento del totale rispetto appena al 24 per cento del Mezzogiorno.
Anche per le risorse disponibili attivate invece attraverso il Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali, relativo a opere di interesse strategico e istituito dal decreto legge 98/2011, si conferma la prevalente destinazione al Centro-Nord, cui compete una quota pari all’83,5 per cento dei soldi attualmente assegnati a questo fondo, contro il 16,5 del Mezzogiorno.
Perché al Sud un pendolare mette la sua stanchezza in mano alla stanchezza, all’errore umano di un capostazione, è tutto qui. Non so se al Sud le cose non si fanno per la corruzione che infetta e intralcia le opere pubbliche. La corruzione sta in tutto il Paese e in valore assoluto è prevalente al Centro-Nord, presumo, per gli stessi valori economici in gioco degli investimenti. Expo e Mose stanno lì a dimostrarlo. Per l’Expo, per farlo, nonostante la nozione certa e statistica dell’impedimento corruttivo, si è ricorsi a un Commissario e a un’Autorità anticorruzione, che hanno fatto egregiamente la loro parte. Per le opere “esposte” al blocco corruttivo al Sud, questo non si è mai fatto. Forse perché se non si riesce a farle non muore nessuno per l’immagine internazionale, per il blocco del Paese.
Fin quando evidentemente, quando si passa dai valori simbolico-politici alla realtà, qualcuno non ci muore. Allora cordoglio e scaricabarile. Ma andiamo ad aprire questo barile da scaricare. Senza tornare alla Cassa per il Mezzogiorno, che ha dimostrato che con mezzi e uomini adatti le cose se si voleva si poteva farle anche al Sud, teniamoci agli ultimi vent’anni della seconda repubblica. Si prendano le durate dei governi, e le si faccia equivalenti a cento e si divida questo valore per il lasso di tempo imputabile in percentili ad ogni governo, e si avrà una distribuzione equa delle responsabilità. In sintesi un governo che ha operato due anni reca il 10 per cento delle responsabilità. E così a livello amministrativo regionale, e delle istituzioni preposte. Ci potrà essere qualche attenuante per Tizio o Caio, ma staticamente non rileva e bisognerebbe avere il coraggio di avanzarle ai morti e a quelli cui è stata promessa, per loro, giustizia.
Per questo se volete dare giustizia ai 23 morti di Corato, invertite dalla prossima finanziaria i valori percentuali degli investimenti tra Centro-Nord e Sud dell’ultimo documento Cipe; e il ponte sullo stretto usatelo per lo stretto dell’anima, della responsabilità che vi manca. Poi magari potete pure chiedere scusa.