Nella strage di Nizza, tra gli 84 morti, le centinaia di feriti, c’è un eroe che ha provato a salvare delle vite perdendo la sua. È un motociclista che affianca il camion lanciato a tutta velocità sulla folla e cerca addirittura di aprire il portellone dell’autista ma cade, finisce sotto le ruote del mezzo e viene ucciso dall’attentatore.
Da giovedì notte torniamo a quei filmati, a quei siti, quasi per riavvolgere la nostra storia, le nostre storie, perché siamo nella necessità di provare a fare i conti con quella strada di Nizza lungo il mare, una strada vuota perché svuotata. Hanno tolto i passeggini abbandonati, tirato su i giochi rimasti sull’asfalto, portato via i cadaveri, assistito i feriti, ripulito il sangue, sostituito gli arredi urbani. Vorremmo dire che adesso è sempre luglio. È sempre la Promenade. È sempre la nostra vita. In questo lavoro che ciascuno di noi sta cercando di fare, forse vale la pena guardare un solo filmato: quello dell’uomo con lo scooter. È la prima persona che cerca di fermare il tir. Avviene proprio all’inizio della folle corsa. È così piccolo rispetto al camion che il video lo devi vedere più volte per distinguerlo nel buio. Che volevi fare? Che pensavi di ottenere? Non l’avevi mai sentito il risucchio d’aria quando quei bisonti della strada ci sorpassano in autostrada? Noi, con tutta la macchina, siamo alti quanto una ruota e tu con una mano dai gas e gridi alt?
Non so cosa hai pensato di fare ma hai fatto qualcosa di così grande che chiamarti eroe è poco. Hai fatto quel qualcosa di grande che fanno solo i piccoli, quelli del vangelo però. Quei piccoli che sono padroni di tutto: del Regno di Dio addirittura. Perché non è vero che in quei momenti non si sa cosa fare e che si agisce di impulso: in quei momenti si vede chi è grande.
L’uomo con lo scooter. Un’amica di una amica mi racconta di un signore di cui non sanno nulla, neanche se è vivo, che all’arrivo del tir, pronto a scappare nel fuggi fuggi generale, si accorge di un gruppetto di sedicenni italiane paralizzate dal terrore e si ferma e le butta giù una ad una sulla spiaggia, salvando a tutte la vita. L’amica dell’amica è la madre di una delle ragazze salvate: dell’uomo non sanno se è vivo, non sanno il nome, non c’è neanche un video, solo l’eterna gratitudine delle ragazze e dei loro genitori.
Nell’uomo dello scooter, nel signore che salva le ragazze, c’è ogni uomo che ha coperto la moglie salvandola, ogni donna che ha spinto via il passeggino del figlio, ogni infermiera che ha soccorso un bambino: ognuno di loro è l’appiglio per rialzarsi e rinascere dai nostri stessi dolori.
Penso ad altre parole ancora, quelle del Papa all’Angelus di ieri. “L’ospite di pietra! Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo — la parola: ascoltarlo — dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”. Un ospite accolto e servito ma come fosse di pietra. Tanti servizi ma poco ascolto. Quell’uomo e il suo scooter, il signore della spiaggia, tanti altri eroi sconosciuti, hanno servito l’altro ascoltando le loro urla, hanno ascoltato il loro terrore. E si sono fermati, sono accorsi, sono morti. Hanno trasformato la pietra in carne.
Lo fa Dio con i cuori e lo facciamo noi quando diamo la vita. Di morte ne abbiamo avuta tanta. Guardiamo a queste storie, a queste persone piccole, rialziamoci e risorgiamo.