Morire come il piccolo Marco per una gara di minimoto a a 6 anni: è possibile che accada anche nel 2016? E sopratutto, ora il padre come si sentirà? E così tante altre domande si potrebbero fare per questo bruttissimo fatto di cronaca che fa riflettere: il piccolo Marco Scaravelli è morto dopo una settimana di lotta in rianimazione e i genitori hanno deciso di donare gli organi con un post che è diventato virale su Facebook immediatamente. «Marco ha lottato con tutte le sue forze in questi sette giorni. I medici hanno fatto qualunque cosa per salvarlo, gli sono state somministrate dosi altissime di farmaci, le cure si sono succedute senza tregua, con il massimo impegno dal primo all ultimo minuto. Il suo fisico le ha sopportate tutte, era forte come un toro, in piena salute. Il trauma cranico subito in quel maledetto incidente ha causato però danni gravissimi al suo cervello che qualche ora fa ha smesso di avere attività, il piccolo marco ha dovuto cedere ad una cosa troppo grande». Sono parole importanti del padre, Cristian, che ha visto morire davanti a sé il piccolo Marco, travolto da un mini bolide con il quale si stava esercitando nelle minipiste. Un sogno per papà e l’accordo di mamma, nonostante la piccola età: del resto anche Valentino Rossi e tanti altri ancora hanno cominciato così, ben piccoli e con minimoto come primo banco di prova e gioco di grande divertimento.
Ma quelle dichiarazioni hanno spaccato il web e l’opinione pubblica, divisa come altre volte in casi del genere, tra l’assurdità di far rischiare la vita ad un bambino così piccolo “solo per piacere dei genitori” e la comprensione per la scelta dei genitori nonché la tristezza per un dramma avvenuto non presentabile. La diffida è grande, il peso della questione pure: un fatto rimane, al netto di tutto, ovvero un bambino di sei anni che è morto. Questo per qualsiasi persona è incomprensibile, non è giustificabile e colpisce l’animo umano fin nel suo profondo: gli insulti al padre di Marco per una scelta del genere sono orribili ma si possono capire come spinta, esattamente come quelli che dicono “mai pensato a togliere la bici a tuo figlio? Qualsiasi cosa può far male. Anche giocando a casa ci si può far male e allora che si fa? Non li mettiamo al mondo?“. Sono solo alcuni dei commenti dotto il post del padre di Marco. Il dibattito è aperto, ampio e infinitamente drammatico: resta forse da comprendere che non possono esistere casi generali da applicare a cascata senza vedere cosa è successo, chi è coinvolto e come sono avvenuti i fatti. Sembra che l’importante per ognuno di noi è provare a nascondere la vera domanda, che quasi sempre facciamo finta di non vedere: ma che senso ha la vita, se un piccolo innocente a 6 anni viene portato via? Il dramma è misterioso, ogni commento che distrae da questo elemento non esauribile è probabilmente limitante.