E’ il dna a dirci se saremo bravi scuola e successful men and women per il resto della vita. I ricercatori del King’s College di Londra hanno sviluppato un test che valuta 74 geni fondamentali per poter proseguire gli studi brillantemente. Su un campione di 6mila ragazzi di diversa età, perché i test ben fatti si fanno con metodo, si è calcolato il rendimento in matematica e inglese di chi ha i geni giusti. Il dna conta per il 10 per cento e se vi pare poco sappiate che la vostra costanza e impegno contano solo per il 5 per cento.
Dunque, sarà semplicissimo: al primo anno di scuola materna, o alla nascita, mentre si capisce il gruppo sanguigno, o ancor meglio con le diagnosi prenatali, si controlla il dna del pupo. Se è adatto a diventare un genio, o perlomeno uno studente modello, lo si iscrive da subito nelle migliori scuole e gli si prenota un posto ad Harvard o Oxford. Altrimenti si evita di sprecare tempo, soldi per ripetizioni, sangue cattivo per i votacci e lo si lascia beatamente vivere la sua infanzia finché ha l’età per entrare in un’officina o preparare pizze. Non è un vantaggio solo per le famiglie: lo Stato può decidere di investire sui cervelli migliori, e accaparrarseli con programmi ad hoc prima che fuggano in lidi stranieri. Può creare scuole speciali, dirigere la loro istruzione, selezionarli e deciderne il futuro lavorativo a servizio del paese.
Se qualcosa vi turba e sentite vagamente puzza di repubbliche sovietiche o cinesi, con fabbriche di professionalità utili al bisogno allevate ad usum, siete un po’ arretrati, inguaribili romantici che credono nel valore di ogni uomo, nell’importanza della virtù, intesa come decisione, passione, curiosità. Credete nell’educazione. Robe vecchie, ché a ragazzi col dna a posto basta un computer, mica servono gli insegnanti. D’altra parte già i test effettuati si basano solo sulle capacità in matematica e inglese, le uniche discipline che servono per capire l’intelligenza di una persona, e pazienza se la Gran Bretagna ha deciso di andarsene dall’Europa, noi continuiamo succubi a riconoscere l’inglese come l’unico passpartout decisivo per vivere e produrre. Quello di Google, of course, che Shakespeare e Chesterton sono letteratura, e la letteratura non è manco contemplata come materia per geni.
Ora, è ben vero che il lavoro del King’s College ha più nobili scopi, apparentemente: ovvero prevedere se un bambino rischia di avere difficoltà nell’apprendimento, in modo da sviluppare programmi di supporto personalizzati in base alle sue esigenze. Zero abbandono scolastico, questa la finalità. Ma noi non ci crediamo. Andatelo a dire ai ragazzi dei ghetti di Napoli o Palermo, che non riescono nemmeno a fare le aste in un’aula in cui non piova dal soffitto e dove gli spacciatori non entrino in classe, sempre che ci vadano, in classe. 



E’ evidente che è troppo costoso supportare gli elementi che non rendono e non renderanno: tanto vale lasciarli al loro destino, come già avviene, ma sempre con l’eccezione di qualche testardo maestro o professore che se li va a cercare, ci dedica tempo e amore, e riesce a cavarne capolavori. Ricordiamo sempre che Einstein non ha fatto mai test del dna, è stato bocciato a scuola e la sua materia fragile era matematica. Oppure i progressi della scienza potrebbero indurci a cambiarlo, sto dna deficitario: si può già fare per eliminare soggetti imperfetti fisicamente, perché non sperimentare la tecnica anche per i deficit intellettuali? Vogliamo tutti un bimbo bello, intelligente, capace, e magari buono, obbediente, che faccia quel che gli si dice.  Basta pelandroni, perditempo che solo per caso riescono a stupirci con altre forme di genialità, quella artistica, ad esempio. Matematica e inglese.
So che ci sarà sempre uno scienziato per bene a gridare che il dna non ci determina, non legge il nostro destino. Che ci saranno uomini e donne pronti ad organizzare una resistenza in nome della libertà. Magari creando isole di bambini e ragazzi felici, che se ne fregano del dna e dei successi scolastici, perché curati e seguiti uno ad uno riescono, inaspettatamente, senza essere programmati, a tirar fuori risorse impensabili, per sé e per il mondo.

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