Riconoscere e premiare il buon giornalismo, come quello che per tutta la sua vita professionale ha cercato di fare Biagio Agnes. Dal Corriere dell’Irpinia, dove cominciò nella seconda metà degli anni Cinquanta, fino alla guida della Rai. E’ questa, in pillole, l’anima del Premio Biagio Agnes, giunto quest’anno all’ottava edizione. Simona Agnes, presidente della Fondazione omonima e figlia del giornalista, ne parla con orgoglio, ma anche con affetto, con l’attaccamento che si ha per qualcosa la cui storia è cominciata in casa propria.



Simona Agnes, chi era suo padre?
Un uomo onesto, un grande professionista, un appassionato del suo lavoro, nel quale ha sempre profuso le sue energie migliori. E’ stato anche manager, è vero, ma la sua più grande passione in assoluto è stata la Rai. Vi è entrato da giovanissimo, ha fatto la gavetta con grande fatica ma anche tanta passione e determinazione. Perché lui, nel suo lavoro, si divertiva.



Da dove nasce il bisogno di istituire un premio, il Premio Biagio Agnes, in un contesto professionale già ricco di premi?
Ha ragione: ce ne sono tanti… Vede, forse la sorprenderò ma è la verità: era il suo giocattolo. Sì, forse è riduttivo definirlo così, ma era la sua grande passione. Riteneva che fosse doveroso dare un riconoscimento a una categoria che era la sua categoria. Teneva a che fosse riconosciuta pubblicamente la professionalità dei giornalisti che lui conosceva, di cui ammirava le doti e la passione. Sia quelli più affermati, sia quelli più giovani, che cominciavano ad abbracciare questa professione oggi è così difficile.



Come si è arrivati all’attuale Premio Biagio Agnes?
Mio padre lo ha ideato e cominciato, ma — come diceva sempre — non era il “suo” premio; era un riconoscimento che lui ha aiutato a crescere, ma che meritava di esistere di vita propria. Così, dopo l’inizio, dal premio si è lui stesso allontanato, è stato allontanato, e noi abbiamo lavorato per costruirne un altro, che mantenesse l’ispirazione originale ma guardasse al presente.

In queste otto edizioni si sono alternate figure diversissime di persone che hanno ricevuto il premio. Che cosa cercate di individuare, nel loro modo di fare informazione, che sia degno di un riconoscimento?
Ciò cui dava importanza mio padre: il fatto di avere di fronte la figura di un giornalista corretto, che dia sempre l’informazione giusta e che con il suo lavoro abbia potuto raggiungere tutti i lettori. E che abbia suscitato interesse, sempre però con correttezza. Questo alla giuria, presieduta da Gianni Letta, è sempre stato chiaro e continua ad esserlo anche oggi.

Correttezza, ha detto. Che cosa intende esattamente?
Dare un’informazione di vita reale.

E la giuria, appunto? Come lavorate?

Quando ci riuniamo la prima volta io chiedo a tutti i componenti della giuria di partecipare preparandosi a una prima selezione, individuando ognuno dei nomi di giornalisti da presentare e valutare nell’ambito della riunione ufficiale. E quest’anno siamo andati, lo dico per sottolineare la correttezza che contraddistingue l’organizzazione del premio, addirittura per alzata di mano. In un clima formale, conviviale e trasparente allo stesso tempo, la libertà della giuria nell’esprimere le proprie opinioni è assoluta, e i nomi vengono scelti in totale assenza di interessi politici ed economici. E qui, se permette, torniamo al giocattolo…

In che senso?
Non per sminuire l’importanza della manifestazione agli occhi di mio padre, ma per esaltare il fatto che faceva tutto questo senza nessun interesse né politico né economico. E’ così per noi ancora oggi.

Se la sente di fare un bilancio di queste prime otto edizioni del Premio?
La convinzione nel portarlo avanti c’è ed ed è sempre molto ferma, anche se certe volte è difficile, perché è una “macchina da guerra” vera: la manifestazione che i più conoscono evolve in una serata che è quella di premiazione, ma a monte c’è un’attività complessa, sia di ufficio che da parte di tutti i componenti della giuria, a cui chiedo sempre impegno e attenzione.

La Rai continua ad avere un ruolo molto forte, è così?
Il suo ruolo è fondamentale: grazie alla Rai riusciamo a fare la serata di premiazione itinerante — Amalfi, Ravello, Capri, Sorrento — che tanto appassiona la gente. Si tratta di un momento pubblico molto benvoluto, e ovunque ci accolgono sempre benissimo, con interesse ed entusiasmo. Evidentemente facciamo una cosa che interessa e piace.

E lei come vive questi momenti?
Quando assegnamo il riconoscimento, a un grande giornalista o a un giovane giornalista emergente non importa, e lo chiamiamo per dire che ha ricevuto il premio — per la carta stampata, o la televisione o altro — molto spesso mi commuovo. E’ un sentimento che è indice che quello che ha fatto mio padre e che io ho ereditato, cercando di continuarlo e di innovarlo, è valido, ha ancora tutto il suo senso.

Qual è l’aiuto più valido che riceve nel suo lavoro?
Quello che mi viene da una giuria fatta innanzitutto da amici di Biagio Agnes, presieduta da Gianni Letta, un grande e storico amico di mio padre. Tutti sono per me di grande aiuto, mi danno suggerimenti preziosi e insieme facciamo squadra. E questo è bellissimo.