All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelli, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, morta nel 2008 ed oggi, con un processo di beatificazione in corso, annoverata tra i Servi di Dio, ebbe a dire che il mondo, nonostante tanto dolore, stava camminando più decisamente verso l’unità. Una visione paradossale, quasi sconcertante, da parte di una delle figure più innovative della Chiesa post-conciliare, e che torna alla mente di questi tempi, in cui l’orrore ha una cadenza pressoché giornaliera e quella terza guerra mondiale “a pezzi” di cui parla il Papa sembra avere frammenti sempre più estesi, pronti a confluire gli uni negli altri.



Cosa spingeva la Lubich a vedere semi di fraternità in quei giorni così drammatici, a non smettere di testimoniare una speranza? La speranza, ha detto di recente padre Pierbattista Pizzaballa, per tanti anni custode della martoriata Terra Santa, è la più piccola delle virtù cristiane, ma è anche quella che tiene unite le altre due, fede e carità. E’ la capacità di vedere, nella fede, ciò che ancora non c’è, e realizzarlo concretamente nell’amore. Questo – egli afferma – costituisce la vita di tanti testimoni, dalle prime pagine bibliche ai martiri odierni. E il cristiano non vince il male, ma agisce per costruire il bene, consapevole che il male non lo priverà mai della propria libertà. E’ ciò che è accaduto a padre Hamel, che, alla fine di un’esistenza vissuta in donazione agli altri, non è stato in grado di opporsi al male che lo ha ucciso, ma ha reso quel male, in ultima analisi, impotente, perché incapace di distruggere il suo cuore.



La storia di Chiara Lubich era partita assai lontano, a Trento, sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, insieme ad un manipolo di ragazze, nucleo originario di quel che poi sarebbe diventato il Movimento dei Focolari. “Ogni avvenimento ci toccava profondamente – raccontò qualche anno più tardi – e la lezione che Dio ci offriva attraverso le circostanze era chiara: tutto è vanità delle vanità, tutto passa. Ma, contemporaneamente, Dio metteva nel mio cuore, per tutte, una domanda, e con essa la risposta: “Ma ci sarà un ideale che non muore, che nessuna bomba può far crollare e a cui dare tutte noi stesse?”. “Sì, Dio”, aveva aggiunto. “Dio che, in mezzo al furore della guerra, frutto dell’odio, si manifestò per quello che Egli veramente è: amore. E così decidemmo di far di Lui l’ideale della nostra vita”.



Racconta ancora Chiara che da quel momento in poi non smisero di dedicarsi ad ogni prossimo che passava loro accanto, per aiutarlo nei mille modi che si fossero presentati nella mutevole realtà di ogni giorno e che, vivendo così, fu dato loro di sperimentare una tale pienezza nella loro vita che quasi, arrivate a sera, non si accorgevano neppure più della guerra che infuriava intorno. “Ci dicemmo che se fossimo morte – aggiunge – avremmo voluto essere sepolte tutte insieme, con una sola scritta sopra ai nostri nomi sulla tomba: “E noi abbiamo creduto all’amore”.

Come sappiamo, la storia della Lubich e dei suoi seguaci non ebbe vita breve. Approvato dalla chiesa cattolica, il Movimento dei Focolari ha contribuito negli anni al rinnovamento spirituale del mondo moderno, ed aperto infinite piste di dialogo non solo con i cattolici, ma anche con gli altri cristiani, i fedeli di altre religioni e persone di diverse convinzioni, al punto che papa Giovanni Paolo II giunse a definire i suoi appartenenti come “apostoli del dialogo”.

Ancora Chiara Lubich fu la prima donna ad entrare nella moschea di Malcolm X ad Harlem, New York: “facciamo un patto, nel nome dell’unico Dio, di lavorare assiduamente per la pace e l’unità”, aveva detto allora all’imam W.D. Mohammed, che le aveva risposto: “questo patto è suggellato per sempre”, aggiungendo: “Dio mi sia testimone che tu sei mia sorella ed io ti aiuterò sempre”.

Questa chiamata al dialogo ed alla fraternità, il principio disatteso di quegli ideali della rivoluzione ai quali i cittadini francesi, martoriati dai continui attentati, e in lotta per la propria libertà ed eguaglianza, si appellano di continuo, va difesa oggi più che mai. A chi accusa il Papa, le gerarchie ecclesiastiche ed i cristiani, di un eccessivo buonismo di fronte alla violenza di questi giorni, sfugge quanto siano profonde le radici dell’amore evangelico e, molto probabilmente, non è ancora giunto, nella propria esperienza, di fronte alla domanda, ultima e struggente, che fa parte del cuore dell’uomo: quella del bisogno di una Misericordia.

Raccontano i Vangeli che Cristo, poco prima di morire sulla croce, sia giunto alla vetta del dolore più assoluto, la sensazione del distacco dal Padre, quel grido così atroce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” . “Gesù Abbandonato – ha scritto Chiara – è la pupilla dell’Occhio di Dio sul mondo, un Vuoto infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra dell’umanità attraverso la quale si vede Dio”. Che i nostri occhi, abbiano oggi quello stesso sguardo, nel cammino quotidiano della vita. Per morire di spada, diceva Santa Teresa di Lisieux, bisogna essere capaci di morire di spillo, nelle piccole cose di ogni giorno. La vita di padre Hamel, in un paesino alla periferia di Rouen, è stata esperienza di questo, sino all’ultima donazione di sé. Ai cristiani di oggi non è chiesto, in fondo, niente di meno, perché possano camminare ancora gli uni a fianco degli altri e di qualunque uomo di buona volontà. Anche in questi tempi di guerra.