Un nigeriano di 36 anni, Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo, è stato ammazzato di botte da un abitante di Fermo di 38 anni. Camminava per via XX Settembre insieme alla compagna Chinyery, 24 anni, quando due residenti hanno iniziato a insultarla chiamandola “scimmia”. Emmanuel ha chiesto spiegazioni e tanto è bastato per scatenare la violenza su entrambi. Quando nel pomeriggio i medici hanno decretato la morte cerebrale di Namdi, Chinyery ha chiesto la donazione degli organi.



Emmanuel e Chinyery erano arrivati a Fermo lo scorso settembre, fuggiti dalla Nigeria dopo l’assalto di Boko Haram a una chiesa. Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta. Prima di sbarcare a Palermo, avevano attraversato la Libia, dove erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto e, durante la traversata, Chinyery aveva abortito. È un resoconto di come la violenza si stia diffondendo e come possa prevalere. Un’onda gigantesca di odio nasce in Nigeria a va a frangersi sulle coste dell’Adriatico. È vero, siamo immersi in un clima pazzesco, però se guardiamo a questa storia troviamo il rimedio per non farci contagiare. 



Violenza, mitezza, razzismo, accoglienza, morte, vita. In questa storia c’è tutto l’odio e tutto il rimedio all’odio. Siamo abituati in questo anno della misericordia a parlare tanto di perdono: lo studiamo, lo impariamo, lo insegniamo e Chinyery ce lo vive. Dona gli organi a chi gli uccide l’amore, a chi la chiama “scimmia”. Chinyery  mostra che il perdono non è una cosa che si fa ma che si è. Non ha dei tempi giusti né dei tempi sbagliati, perché non è un estintore da usare in caso di pericolo per evitare che il fuoco divampi, non c’è nessun vetro da rompere per usare il perdono.



Il perdono ce l’hai come stile di vita, una sorta di dna della generosità e della misericordia. Un animo magnanimo. Il perdono lo riconosci perché nel momento dell’odio, della rabbia, o almeno del pianto inconsolabile, davanti alla salma deturpata del tuo uomo che è stato finito a pugni e calci, tu pensi a donare gli organi. Donare gli organi non è una cosa a cui puoi pensare con calma, quando tutto è finito, quando la rabbia è placata, il dolore inghiottito, il cammino del perdono intrapreso. Non puoi, perché i tempi per procedere all’espianto sono strettissimi. Vuol dire che Chinyery, nel momento in cui si vorrebbe solo riavere il proprio marito accanto a sé, in quel momento questa nigeriana ha pensato a deturparlo ancora di più facendogli togliere gli organi da donare.

Ho scritto male; non: ha pensato. Ha agito d’istinto: cioè è stata generosa. Sono in tanti che, anche a freddo, non avrebbero donato gli organi ai cittadini di un paese che ti ha ucciso l’amore.

Chinyery era scappata dall’orrore, aveva abortito a causa delle percosse, ora tutto le crolla per l’ennesima volta addosso,  e lei pensa a quante vite può salvare con gli organi del marito. Chinyery è generosa e se non lo sa glielo dico io. Chinyery, più ancora, ha trovato il modo di reagire contro l’orrore perché quando ci si comporta così vuol dire che nel cuore c’è qualcosa di forte, che permette di affrontare tutto. Dobbiamo imparare da lei per affrontare questo clima mefistofelico. Ieri Papa Francesco ha incontrato dei poveri e ha dato loro la missione di pregare per i colpevoli della loro povertà, perché si convertano. 

Siamo stanchi, viviamo in un clima pazzesco, però finché non cambiamo cuore e testa e sguardo, non sapremo il bello che scatta nella testa e nel cuore di persone come Chinyery, e rimarremo a con i piedi immersi nel nostro lamento. Non sapremo mai cosa batte nel cuore di chi ci fa vedere come è fatta la misericordia che predichiamo.