Per un prete è complicato raccontare che Katie Ledecky, uno dei personaggi assoluti di Rio 2016, prega sempre prima di una gara, recita l’Ave Maria e va a Messa ogni settimana. Perché Ledecky, ormai lo sanno tutti, è Phelps al femminile e parlare della fede di una star è complicato perché si rischia di appuntarsela sul petto come un medagliere — uno cattivo, però, non come quello di Katie. Si rischia di farne un’ostentazione muscolare, un “noi siamo meglio di voi”. Per chi ancora non lo sapesse — credo non rimanga più nessuno al mondo — la Ledecky ha 19 anni ed essendo stata campionessa olimpica degli 800 metri stile libero nel 2012 è già entrata nella storia. Nei campionati mondiali del 2015 ha vinto cinque medaglie d’oro, è detentrice del record mondiale femminile dei 400, degli 800 e dei 1.500 metri stile libero e in Brasile ha vinto quattro medaglie d’oro.
La Lettera a Diogneto — uno degli scritti più antichi della cristianità — dice che “i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”; ora, per quanto ne sappiamo, le anime non si vedono, non si ostentano, perché si vedono i vivi, le persone vive: quelle, appunto, animate. Per questo parlo della fede di Katie: non per appuntarmela al petto ma perché lei è viva, animata, e si vede quello che è.
Di lei si conoscono i sogni da bambina: nuotare era il suo sogno. Di lei si conoscono le storie da ragazza: nuotava ma si aggrappava alla corsia e non arrivava in fondo. Ci ha messo il suo primo anno di scuola nuoto a fare venticinque metri di fila. Poi, piano piano, è cresciuta lei e con lei i suoi traguardi, le vittorie, i record. Di lei, ora diciannovenne, conosciamo la sua fede semplicemente perché conosciamo lei. Cioè prima vedi i suoi fantastici risultati, poi viene fuori una vita vissuta in abbondanza e così viene fuori tutto. Come quando alla dogana ti dicono di aprire la valigia: non è ostentazione se assieme al dentifricio viene fuori anche la corona del Rosario, non so se mi spiego. Oltretutto la Ledecky è il contrario della chiacchierona. “Quali siano i miei obiettivi riguarda me e il mio allenatore”, dice per esempio a chi vuole entrare troppo nel suo privato. Se una così dice “la mia fede è sempre stata importante per me, perché definisce quello che sono” evitare di dire che la Ledecky crede, vuol dire raccontare bugie.



Non parlo delle Ave Marie di Katie e delle Messe contandole come si contano le medaglie, gli ori e i podi. Parlo della fede di una ragazza parlando della vita di quella ragazza, perché la fede in Dio non è espressa dal medagliere dei sacramenti e delle devozioni ma dal sapore di quella vita. La vita vissuta con abbondanza mi dice della fede molto più delle curiosità su come quella fede si manifesta a bordo campo.
Auguro a Katie che la sua fede rimanga una cosa tra lei e il suo Allenatore e che la sua vita piena di amore e di passione ne sia il segnale evidente. E, a quanto sembra, Katie sembra pensarla uguale a me visto che per lei la fede “è una grande possibilità per riflettere e collegarsi a Dio. La mia fede è una parte importante della mia vita fin da quando sono nata”. Vai Katie: diventa quello che sei.

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