Anche se la scuola è finita da un pezzo, recentemente mi son ritrovata con tre figli di nuovo in giro: uno all’oratorio, un’altra alla vacanzina natura, il terzo al campus multisport. Il conto da pagare per vederli occupati in qualcosa di bello non è dei più bassi, però ne val la pena. Quel che non avverti subito è il costo occulto: l’inclusione istantanea in tre nuovi gruppi whatsapp (che si sommano a quelli già attivi) insieme alle altre mamme dei ragazzi coinvolti. Già dalla prima sera, i primi tremori del telefono preannunciavano il prevedibile: l’arrivo di un terremoto di messaggi. A leggerli, mi han suscitato lo stesso interesse di quello che mio marito può avere per dei calzini nuovi, mentre c’è l’Italia che gioca a eliminazione diretta.
Il giorno seguente, dopo una visita al dentista e a un’amica che aveva appena partorito, alle undici e mezza ho riacceso il cellulare. Messaggi provenienti dai tre gruppi: 57. Importanti: 1. Il telefono ha poi continuato a vibrare al ritmo di uno spazzolino elettrico. Soprattutto dopo mezzogiorno, quando qualcuno ha avuto la brillante idea di postare la foto di una tovaglia apparecchiata. E lì, almeno una dozzina di educate genitrici giù a servire una sfilza identica di ‘buon appetito’; da farti andare di traverso anche l’insalatina miramare. Alle due ho incrociato un paio di colleghe per un caffè. E con loro mi son sfogata.
“Come ti capisco!…” ha commentato la prima – “Ah, lascia stare. Non se ne può più”, le ha fatto eco l’altra. È stato lì – davanti a tanta (dubbia) solidarietà – che la domanda si è imposta da sola: com’è che tutte si lamentano dell’esagerazione di messaggi, ma nessuno li scrive? Qualcuno dovrà pur farlo. Tu chiedi e non è mai stato uno dei presenti. Tutte zitte. Nemmeno una flatulenza in teatro genera tanto scaricamento di colpa.
Dopo aver servito la mia dose alle mamme, vengo anche ai papà. Mariti di codeste signore così digitalizzate, durante il giorno non lasciate vostra moglie (troppo) sola a se stessa: so che si lavora, ma piuttosto chiedetele di preparar per cena un piatto dagli ingredienti introvabili, o ingaggiatela in un sexting selvaggio dalla vostra scrivania dell’ufficio. Qualunque cosa…
E per finire, un appello particolare al papà dei papà: Mr. Zuckerberg, padre nella vita di una bellissima bambina e nel business della controversa applicazione. Stimato Mark, sono seria: considera l’ipotesi di far pagare un piccolo pegno per ogni messaggio inviato nei “mom-groups”. Lo devolviamo in beneficienza e miglioriamo la vita di un gran bel numero di persone.
Perché altrimenti mi resta una sola ultima possibilità: la fuga. So che se mi tolgo dai gruppi, le smessaggiate mi mancheranno come quei tre secondi in cui il ventilatore si gira verso il nulla. Ma togliersi da una chat non è mai troppo elegante.
Probabilmente opterò per disattivar le notifiche, un sensato compromesso che salva faccia e nervi. Che poi: se conoscessi dal vivo tutte quelle mamme, scommetto mi starebbero pure simpatiche…