Sarebbe facile adesso iniziare a cantare vittoria. Il laicista François Hollande, fiero nemico della Chiesa, prostrato dalla guerra al terrorismo e dalla crisi economica, arriva mite a Roma da Papa Francesco spiegando che chi attacca o uccide un religioso in Francia “attacca la Repubblica”. La storia ha la sua ironia ed è chiaro che sentire in queste ore le dichiarazioni del presidente francese fa sorridere: è una consuetudine tutta gallicana quella di alzare la testa contro la fede per poi essere costretti ad abbassarla davanti al Papa. I re di Francia ne sanno certamente qualcosa e la tentazione di rifugiarsi in una malcelata soddisfazione da parte nostra, eterni cugini rivali, oggi esiste, c’è.
Però non è questo il tipo di vittorie che interessano al cristianesimo. Non è la resa della Francia alla forza sempiterna della Chiesa che rende la fede un fattore di cambiamento per la nazione che si estende tra le Alpi e i Pirenei, tra il mare del Nord e il Mediterraneo. Siamo infatti di fronte al gesto disperato di un politico giunto alla sua ultima corsa, di un capo di Stato che ha rappresentato il culmine di un processo di autodisgregazione culturale incessante e inevitabile. La Francia è oggi assediata da un nemico interno, da un tumore che si è generato fra le proprie fila con l’accondiscendenza delle dotte élite d’oltralpe, invaghite di un multiculturalismo libertario che è fallito prima nel Regno Unito di Blair e poi nella “patria della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino”.
Il punto, quindi, non è applaudire o vivisezionare le parole del leader socialista in visita a Pietro, il punto è chiedersi — e chiederci — da dove ripartire. La soluzione a questa guerra non può venire da un rigurgito conservatore da cui prima o poi il continente sarà tentato, ma solo dall’educazione di un popolo. Educazione a che cosa? A concepire lo spazio pubblico non come una proprietà, ma come un luogo di incontro e di libera espressione delle culture nel tentativo — promosso anche dallo Stato — di giungere insieme ad affrontare in modo umano le diverse problematiche del nostro tempo a partire dalle “soluzioni” che sorgono e si incontrano nella realtà.
Occorre smetterla di manipolare le cose per renderle simili a sé; bisogna, invece, avere il coraggio di tornare ad imparare dall’esperienza, dal cuore dell’uomo che, alle prese con la vita, non esita a fiutare la via della pace e della verità. Perché questo accada occorre investire sulla libertà della persona, sulla capacità di movimento del corpi intermedi della società e sulla forza che un dialogo vero e onesto può generare nella storia. La Francia, insomma, deve restituire all’Europa ciò che essa stessa ha rubato al continente: la forza di una ragione vera. Una ragione che è autorevole e foriera di un processo di pace e di incontro solo se accetta l’autorità della realtà, di ciò che succede e che cresce.



Parafrasando una celebre frase del XVII secolo, non si va a Messa per tenersi Parigi, ma si va a Parigi in cerca di una Messa, ossia di una Presenza al cui cospetto gli uomini possano tornare a riconoscersi come un bene, come “fratelli nell’umanità”. Che cosa pensa il presidente francese alla sera prima di andare a letto? Io vivo nel terrore di un continente che torna penitente dal Papa ma che — prima di dormire — ha perso l’abitudine di guardare le stelle e di cogliere l’orizzonte come un’opportunità. Vivo nel terrore di un popolo che pensi di poter fermare le migrazioni del nostro tempo con la politica, con gli affari, con la guerra, con l’economia.
“Il deserto diverrà un giardino”. È questo il titolo della scultura che papa Francesco ha regalato a Hollande. Una frase del profeta Isaia, una promessa. Oppure, al contrario, l’eterna sfida a cambiare mentalità e a permettere al Grande Giardiniere di tornare ad occuparsi della Sua terra, dei Suoi legami, di un cuore ferito che nessun compiacimento potrà mai mettere al sicuro, bensì solo l’esperienza improvvisa di un amore totale e gratuito. Quell’esperienza che ciascuno di noi attende e che è la sola che è capace davvero di cambiare la Francia e l’Europa. Liberandola dalla paura, ridonandola a se stessa.
Hollande torna a Parigi. E, al di là di un comprensibile compiacimento, la nostra speranza è che questa visita e gli occhi di quell’uomo vestito di bianco abbiano portato nel cuore del presidente un “santo disturbo”, il disturbo di chi — la notte in cui ha visto le stelle — non vuole più dormire, ma vuole solo salire più in alto per vedere. E per capire.

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