Domenica in aereo dalla Gmg polacca, papa Francesco ha detto qualcosa di più esplosivo di quando disse “chi sono io per giudicare un gay” di ritorno dalla Gmg di Rio. Ha detto che “ci sono musulmani che vogliono fare il Giubileo”. Capito? Mentre tra le polemiche, da Milano a Roma, da Napoli a Trento, decine di esponenti della religione islamica hanno voluto abbracciare – anche fisicamente – parroci e vescovi in segno di pace e fratellanza, il Papa in aereo diceva «non è giusto dire che l’islam sia terrorista, a me non piace parlare di violenza islamica», per aggiungere che «il nunzio di un paese africano mi diceva che nella capitale del suo paese c’è sempre una coda di gente per passare la porta santa e alcuni si accostano ai confessionali, ma la maggioranza va avanti a pregare all’altare della Madonna, e ci sono musulmani che vogliono fare il Giubileo».



In Africa ci sono musulmani che vogliono fare il Giubileo, magari passare dalla prima porta santa del Giubileo, quella di Bangui, altro che non farli entrare a Messa per l’abbraccio della pace come hanno detto alcuni, scandalizzati, pensando sia stato fatto qualcosa di sacrilego. Perché, suvvia, non è un’esagerazione questa promiscuità di religioni durante la Messa? Non si poteva fare una marcia, una veglia, qualcos’altro, insomma? Che il senso fosse ritornare a quell’altare, a quella Messa, dov’era stato commesso un omicidio, ripartire da lì con un gesto di perdono e di pace, non li ha sfiorati.



Le prime chiese, le chiese dei primi cristiani, erano case. Abitazioni. La casa di Marco, il cenacolo, era la casa dei primi cristiani. Fino all’editto di Costantino le chiese erano i luoghi dove si svolgeva la quotidianità feriale. E la casa di un cristiano – cioè la sua chiesa – era aperta agli amici, ai forestieri. Era lui, l’ospite, a essere sacro, non la casa. Se c’era sacrilegio, era nel non accogliere, nel lasciare fuori, affamato e solo, lo straniero che arrivava.

La bibbia è ricca di ospiti inattesi, forestieri. Primi fra tutti i re magi che divisero casa e desco con la famiglia di Nazareth. La vita, la nostra vita, è sacra. È lei a essere di Dio. Se la condividiamo, non facciamo altro che donare quello che ci è stato donato. È l’anno della misericordia e forse non a caso accade tanto male. Solo la misericordia può lavare tanto sangue. Certo l’anno Giubilare, il sacramento della Messa, sono iscritti ancor prima che nel nostro calendario, nel nostro Dna. Non scandiscono solo il nostro tempo e la nostra vita sacramentale. Siamo cristiani perché di Cristo, in Cristo, ma non abbiamo il copyright su Dio, pace, amore, misericordia. Non siamo detentori delle cose di Dio e di Dio stesso. Semmai siamo servitori e figli.



C’è un solo paradiso, regno di un solo Dio, casa di un solo Padre. Sa Lui cosa dirà a ciascun figlio. Figlio di un musulmano? Sì, in terra. Ma, in cielo, solo figli di Dio. Stare domenica seduti insieme a Messa non vuole dire avere le idee confuse su chi c’è sull’altare, ma portare per un’ora scarsa il paradiso in terra. Tutti davanti a Dio. Da uomini, creature, fratelli. E quello che ci divide? Quello lasciamolo alle cronache di Rouen, nei segni a terra sulla promenade di Nizza, nei summit dell’intelligence.

Domenica tutto quello che ci univa si è unito. Si è dato appuntamento a casa degli offesi, dei fratelli in lutto. Ma come può offendere Dio tutto questo? Offende qualche norma ecclesiale? Non più di tutti i nostri peccati da battezzati. Se voglio, e lo voglio, portare Cristo, devo fare come Lui. Seguire, farmi seguire, entrare, uscire, a casa mia nel Tempio e in Galilea. Gesù ha cacciato dal Tempio solo coloro che ne avevano fatto un mercato. Per chi vuole una casa, la sua casa è sempre aperta.

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