L’Italia sta rischiando di compromettere seriamente il proprio futuro. Ad evidenziarlo sono, in particolare, due indicatori che hanno raggiunto negli ultimi anni valori negativi record. Il primo è il numero delle nascite, che ha toccato il valore più basso dall’Unità d’Italia ad oggi. Il secondo è il numero dei Neet – gli under 30 che non studiano e non lavorano – che risulta essere, in termini assoluti, il più elevato in Europa. La combinazione di tali due indicatori ci segnala l’entrata in una spirale di degiovanimento quantitativo e qualitativo che avvita verso il basso le condizioni delle nuove generazioni e le possibilità di sviluppo del paese. Il nostro paese è, infatti, quello che maggiormente si è trovato in questo secolo a scivolare nel paradosso di avere sia sempre meno giovani e sia di includerli poco, tardi e male nei processi di crescita economica e cambiamento sociale.



Una spirale negativa che si può spezzare solo migliorando concretamente e incisivamente la possibilità delle nuove generazioni di esprimere il proprio protagonismo positivo nei processi di produzione di nuovo benessere. I giovani non sono solo una categoria anagrafica. La giovinezza rappresenta la fase progettuale di ogni nuova generazione. Dalla capacità, quindi, di creare progetti solidi e dalla possibilità di realizzarli con successo dipende la solidità e la prosperità di una comunità.



A sostegno dell’impegno pubblico da riscoprire e rilanciare in questa direzione, i dati dell’indagine “Rapporto giovani” dell’Istituto G. Toniolo mostrano come i giovani italiani non siano, nella grande maggioranza, rinunciatari. Hanno, anzi, in partenza desideri e progetti importanti da mettere in atto e un atteggiamento positivo verso il lavoro. Dove questi progetti sono incentivati a realizzarsi producono risultati rilevanti, ma diventano anche un riscontro positivo che consente di trovare fiducia e determinazione nella costruzione del proprio futuro. Dove questo incoraggiamento, invece, manca il rischio è quello dello scoraggiamento e della revisione verso il basso dei propri obiettivi, fino anche alla rassegnazione e al rischio di marginalizzazione sociale.



I più esposti a quest’ultimo scenario sono soprattutto in coloro che si trovano nella condizione di Neet, con la conseguenza non solo a penalizzare irreparabilmente il percorso professionale ma anche l’attuazione piena dei propri progetti di vita.

I dati del “Rapporto giovani” mostrano come l’avere un lavoro e la soddisfazione complessiva verso l’attività svolta siano legate positivamente anche alla soddisfazione per la propria vita e alla visione positiva del futuro. Al punto più basso si trovano proprio i Neet: la loro soddisfazione per la vita raggiunge 3,7 punti in media su 5, contro un valore pari a 4,3 di chi ha un lavoro instabile e 4,8 per chi ha un lavoro a tempo indeterminato.

Riguardo alle intenzioni future, la percentuale degli under 30 che progettano di uscire dalla casa dei genitori entro un anno dall’intervista è pari a poco più di un quarto nella fascia 18-24 e a poco più di un terzo nella fascia 25-29. Valori non elevati se si pensa che la maggioranza dei giovani europei vive in autonomia dopo i 25 anni. Esistono però differenze marcate sia rispetto alla presenza del lavoro sia al tipo di lavoro svolto: per chi ha un contratto a tempo determinato si sale al 45 percento di intenzioni positive di uscita; mentre tra i Neet non solo il valore è molto basso, pari al 23 percento, ma rimane sostanzialmente fermo all’aumentare dell’età. Si tratta di un chiaro segnale di progetti di vita che vengono rinviati e che progressivamente si trasformano in rinuncia definitiva.

L’elevata percentuale di Neet in Italia non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma costituisce, in definitiva, un enorme macigno (peggiore del debito pubblico) sulla sostenibilità sociale, sulle dinamiche demografiche e sullo sviluppo economico dell’intero paese. La risposta non può arrivare solo da misure limitate, come il piano Garanzia giovani, ma serve un più profondo ripensamento del ruolo delle nuove generazioni nel modello sociale e di sviluppo dell’Italia. 

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