“E’ un compito molto difficile, sa? Perché il discorso di Doninelli è più debitore alla scrittura letteraria che a quella saggistica. E se lo ascolti con la divisa mentale della spiegazione teorica rischi di rimanerne fuori, di non capire”. Fausto Bertinotti, leader storico della sinistra italiana ed ex presidente della Camera, ha appena finito di ascoltare (in streaming) la relazione dello scrittore Luca Doninelli sul tema centrale del Meeting di Rimini di quest’anno, “Tu sei un bene per me”.



Che ne pensa, Bertinotti?
Mi sono trovato ad ascoltare Doninelli come si ascolta un racconto. E chi, come me, è per sua formazione “imprigionato” nella scrittura saggistica, si trova nella condizione più difficile. Ma non è un ostacolo; questa diversità di forme induce di più al dialogo.

E qual è la sua opinione?
Così, senza poter leggere il testo, la mia reazione è quella di un sì-virgola-ma. Dalla prima parola all’ultima… Due punti molto forti mi sono rimasti impressi. Il valore della tua vita non è nelle mie mani, perché neanche il mio lo è. Dunque questo bellissimo senso del dono e della gratuità del mondo. Al tempo stesso, la presenza inesorabile del dato. C’è ma non ti appartiene. E’ il tema del destino…



Sorpreso positivamente dunque. E i “ma”?
La vita non è nelle mie mani? Il suo valore no, ma il suo significato sì, io voglio che lo sia. Io non voglio che la mia libertà si dissolva nel destino, né che il valore della mia vita mi venga sottratto.

E il tema della libertà. “Come tu diventi davvero un tu irriducibile? — dice Doninelli —. Questo non va da sé, non è scontato, il tu può essere solo una parola”.
Sì. E’ vero che il destino attraverso le cose ci preme, ci sta addosso, ma al tempo stesso è vero che dobbiamo oltrepassarlo, anche utilizzando quell’imprevisto che in un certo senso è scritto nel destino, ma in un altro senso, no. Altrimenti non sarebbe imprevisto…



Vada avanti.
Insiste molto sulla relazione, che ritengo fondamentale, di io e tu. Tu sei un bene per me. Vero. Ma c’è anche il bene comune, non ci siamo solo io e tu. Il noi non si può eliminare. Poi dice: “al di là dei risvolti politici…”: D’accordo: al fondo c’è un abbraccio — mi pare abbia detto così —,  è questo il rapporto diretto tra l’io e il tu, e da qui si arriva all’amore per il nemico, al “porgi l’altra guancia”, il Vangelo è davvero straordinario, è la legge più profonda dell’umano. Ma siccome sei anche immerso nel “noi”, sei costretto ad occuparti della tirannide e del totalitarismo, se vuoi leggere questo tempo.

Appunto. Nei totalitarismi odierni l’uomo è inutile, dice Doninelli. Nell’antica tirannide veniva schiacciato, oggi conta sempre meno, in un processo che tende ad azzerarlo.

Il totalitarismo moderno fa l’uomo inutile? Attenzione, il totalitarismo ci propone un uomo, più che inutile, alienato, deprivato. In-utile lo sarebbe se fosse lasciato libero di galleggiare in relazione con l’altro senza che sia impellente la questione del potere. L’inutilità in qualche modo trascura il processo di spoliazione e sfruttamento che una determinata formazione economica e sociale produce. Omette il capitalismo finanziario globale e il suo specifico processo di annichilimento della democrazia e di ambizione a creare l’uomo di questo capitalismo; il suo farsi religione.

Cosa propone, Bertinotti?
Di integrare la formula di Doninelli con i suggerimenti e le analisi che si ricavano dalla Laudato si’. C’è la catastrofe annunciata e c’è l’appello alla persona umana, che è in grado di capire e di ribellarsi a questo destino. Ma la contromossa passa da un’analisi che smaschera gli interessi materiali.

A un certo punto si dice che “tra me e te c’è qualcosa che non sono io e non sei tu, una sorta di Terzo”; un silenzio, dato dal fatto che tu — e si racconta l’esperienza della malattia e poi della fine di un amico — puoi rispondere alla mie domande, ma mai fino in fondo. “Tra me e te c’è un silenzio, un silenzio denso e duro, duro da accettare e duro da imparare, ma in questo silenzio c’è la radice del bene: io non sono la risposta alle tue domande, tu non sei la risposta alle mie.
Entriamo ne campo del mistero. Questo silenzio è l’altra faccia del mistero della vita. Per questo sono contrario alle ambizioni della politica quando dichiara che il suo obiettivo è la felicità. Come avviene nella costituzione americana, o com’è avvenuto anche nella mia storia, con il comunismo e l’uomo nuovo. Sono peccati di un intero secolo da cui dobbiamo mondarci.

Ma se lo scopo non è la felicità, allora qual è?
L’uguaglianza. L’articolo 3 della costituzione italiana in questo è un capolavoro, non credo si sia saputo andare oltre. Non è un caso che sia il frutto dell’incontro di due grandi culture, quella del movimento operaio e quella cattolica. Compito della repubblica non dare la felicità, ma “rimuovere gli ostacoli” che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Comunque, è vero. Alla fine tocca sempre a te. Anche farei conti con le domande che Doninelli pone, quelle domande così sovraccariche di senso.

Alla fine Doninelli dice che il tu ci è amico, è un bene-per-me, perché è gratis, perché è un dono. A lei, Bertinotti, cosa dice il titolo del Meeting?

Vede, sono sempre dentro il mio limite di ricondurre i temi trascendenti all’unica dimensione di cui credo di poter parlare, che è quella storicizzata, non dico secolare, che non è vero, ma storicizzata. “Tu sei un bene per me” non è immediato, non è più immediato, perché c’è la storia di mezzo; perché le relazioni sociali ci hanno imprigionato, perché il profitto ha preso il posto della cooperazione, perché la paura è alimentata dalla perdita dell’evidenza, perché quelle grandi agenzie formative che sono state le costruzioni democratiche del 900 sono scomparse. Quando l’uomo è ridotto all’economico tu non pensi più che possa essere un bene per te.

Va bene Bertinotti, ma il tu — l’altro — è anche sua moglie…
Ma anche lei purtroppo è immersa in questa relazione. Secondo lei non c’è rapporto tra la precarizzazione del lavoro e della condizione sociale e la precarizzazione delle relazioni familiari? Certo che c’è! E se questa prevale, il rapporto con la persona che è naturaliter un bene per te, come il figlio, il padre e la madre, non regge più. Una volta un teologo che io amo molto, mons. Chiavacci, alla domanda se l’innovazione serve Dio o Mammona, disse che serve Mammona… a meno che. In questo “a meno che” c’è il nostro compito, la ricostruzione di un destino di fraternità.

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