Con questo articolo non intendo trattare o riferirmi alle miserie dei nostri politici italiani, mi consola il fatto che usufruendo di ben quaranta giorni di vacanze estive non potranno perpetrare i danni che solitamente producono ai cittadini e alla società italiana tramite leggi. In questo periodo dell’anno in qualunque caso per la politica, le beghe, le sceneggiate mediatiche e le frasi al vento della serie “chi la spara più grossa”, non fanno più notizia degli amorazzi estivi dei vip.
Di ritorno dalle vacanze riflettevo che in nessun periodo dell’anno come nella stagione estiva si ha la percezione delle tipologie di individui che abitano il nostro universo mondo sociale, e mai come in questa stagione si ha modo di osservare aspetti e comportamenti dell’italiano medio (ma non solo), la sua involuzione comportamentale e soprattutto estetica, perché nulla come l’estetica rende evidente lo stato di civiltà del nostro Paese, e più in generale dei cittadini del cosiddetto “mondo occidentale”.
Sull’argomento è illuminante un libro scritto dieci anni fa da Maurizio Blondet, dal titolo “Selvaggi con il telefonino”, una dura analisi sulla decadenza di un popolo nell’amoralità, nella volgarità, nella bassezza soddisfatta, nell’ignoranza compiaciuta, nella grettezza e nella mancanza di rigore mentale prima e morale poi. Ma di tutto questo ventaglio di situazioni, mi soffermerò su di un solo elemento, una moda che da quindici anni a questa parte ha preso sempre più piede, e da segno identificativo e trasgressivo di pochi si è espanso sino a diventare consuetudine di massa: il tatuaggio.
Lungi da me condannare in maniera bacchettona il tatuaggio, ma questo fenomeno di massa a mio parere svela, oltre che l’accodarsi a una moda tipica del nostro mondo consumistico usa e getta, anche una volgarità di fondo, uno scadimento dello stile e del buon gusto, riflesso della nostra società italiana, ma più in generale anche occidentale.
Il tatuaggio ha origini antichissime, per le popolazioni aborigene del passato e, anche se in misura numericamente molto ridotta, anche oggi in diverse parti del mondo l’atto del tatuarsi, ovvero decorare la propria pelle con simboli e colori, aveva un chiaro significato di appartenenza a una determinata tribù, un chiaro significato di ruolo all’interno di una determinata tribù, che si trattasse di un guerriero, piuttosto che uno sciamano, un sacerdote, un capo. Pertanto rappresentava la propria “carta d’identità”, il proprio ruolo all’interno della propria comunità. Mentre, se si eccettua il periodo preistorico, nel mondo occidentale i tatuaggi sono stati i segni distintivi di galeotti e pirati, delle sottoclassi semi-criminali, le meno eleganti e le più volgari della storia.
Nel mondo occidentale, soprattutto per l’uomo, i ruoli si rendevano manifesti dalla divisa, dall’uniforme: essere senatore della Repubblica Romana, essere Imperatore, essere un soldato, essere un ecclesiastico, essere un Sovrano, essere un medico, ogni professione o ruolo sociale veniva declinato e reso manifesto da una divisa.
Fatta questa premessa, torniamo all’attualità, in questa stagione estiva dove il corpo necessariamente rimane più scoperto, è tutto un proliferare di tatuaggi, siano essi d’inchiostro nero piuttosto che a colori, dislocati su ogni parte del corpo, anche come riempitivo di interi arti.
Sino a quindici o venti anni fa il tatuaggio era una cosa di nicchia, solo una parte ridotta della popolazione si segnava il corpo e per lo più erano non evidenti, se non quando si era a torso nudo. Mentre ora, diventato volgare fenomeno di massa, banale vezzo consumistico, vede sempre più larghe fasce di popolazione, maschile e femminile, imbrattarsi intere aree del corpo, braccia, gambe, schiena, petto, collo; in un proliferare di pseudo simboli tribali, ideogrammi cinesi, zampette di animali, farfalline, coccinelle, fiori, nomi di mariti/mogli, fidanzate/i, figli, il tutto in spregio all’estetica e al senso del ridicolo.
E che si stia cadendo in basso è testimoniato dal fatto che sono sempre più le femmine che giocano a ridicolizzare se stesse, imbrattando il proprio corpo di tatuaggi in ogni dove, e questo è un segnale molto negativo perché, come ricorda Blondet nel suo libro sopra citato: “A imporre la Cavalleria furono le donne…Le donne medievali fecero alzare la civiltà di un livello decisivo, insegnarono ai giovani tutto, dalle buone maniere all’onore militare, insegnarono a essere occidentali”.
Ecco, la cosa che più mi sconcerta è che se nel nostro mondo occidentale l’uomo ha caratterizzato se stesso con l’uniforme, la divisa, per quanto riguarda la donna, la sua presenza estetica si è caratterizzata nel saper trasformare il proprio aspetto tramite l’acconciatura, il taglio e il colore dei capelli, il trucco del viso, dalle labbra agli occhi, la decorazione del proprio corpo con accessori che ne sapessero valorizzare l’aspetto, come collane, orecchini, anelli, bracciali, senza considerare vestiario e calzature.
La donna non ha mai necessitato d’imbrattarsi in maniera indelebile il corpo perché ha avuto, e ha tuttora, un ventaglio di possibilità che la possono rendere sempre diversa e sempre mutevole nell’estetica, anche seguendo e rispettando sé stessa nello scorrere del proprio tempo! Pensare di fermare tempo ed esperienze segnandole sul proprio corpo con il tatuaggio è un non senso, un ridicolo paravento dietro al quale celare che in realtà si tratta di un volgare conformismo modaiolo.
Forse il recupero del senso estetico, della percezione del bello senza volgarità, porterà un segnale di ripresa civica e civile nel nostro esteticamente e materialmente corrotto mondo occidentale.
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