Pubblichiamo l’articolo di Agostino Giovagnoli uscito questa mattina, 27 agosto 2016, su “Repubblica”. 

“CL non ha bisogno né di un nemico né del pote­re”. Quest’anno Julian Carron, successore di don Giussani alla guida di Comunione e Liberazione, non ha partecipato al Meeting di Rimini, ma le sue parole sintetizzano chiaramente ciò da cui Cl vuole prendere le distanze. Questo movimento non sarà il baluardo del cattolicesimo veritativo e identitario come vorrebbero quanti oggi identificano nell’Islam il grande ne­mico dell’Europa e dell’Occidente. C’è chi (all’esterno) dubita ci sia una reale volontà di cambiamento e chi (all’interno) vorrebbe che non ci fosse. Ma le parole di Carron e il Meeting appena concluso mostrano che questa volontà c’è davvero. La contrapposizione al nemico e la ricerca del potere sono le cose per cui Cl è stata tanto criticata in passato. Ma se oggi questo movimento vuole davvero cambiare non è (tanto) per le critiche (quanto) per un motivo più profondo: il rischio di perdere la propria anima.
Naturalmente, per cambiare non basta prendere le distanze da ciò che non si vuole essere: bisogna anche capire che cosa si vuole diventare. Ma ancora nessuno sa quale sarà il punto d’arrivo. Al momento si tratta di individuare il cammino e a tal fine due problemi appaiono più importanti: scegliere i compagni di viaggio e ripensare le proprie origini. Il Meeting di quest’anno — “Tu sei il mio bene” è stato il suo titolo — è stato caratterizzato da aperture inedite e da innesti inattesi. Hanno partecipato ortodossi, ebrei e musulmani, nonché personalità non particolarmente vicine al movimento, da Prodi a Cassese. Anche l’invito a diversi ministri del governo Renzi è stato segno di un’inedita apertura. Ma l’assenza di alcuni di loro a causa del terremoto non ha squilibrato il Meeting e anche questa è una novità rispetto ai tempi in cui la “cifra” dell’incontro era data dalla presenza di Andreotti, Craxi o Berlusconi. La chiave del nuovo rapporto con la politica di cui Cl è alla ricerca è stata messa in luce da una mostra suggerita da Luciano Violante: dedicata agli ultimi settant’anni di storia italiana, è stata incentrata sul “genio della Repubblica” inteso come capacità di incontro tra diversi, cattolici e comunisti, socialisti e liberali ecc.
Da un’altra mostra, dedicata a migranti e rifugiati, si ricava invece la chiave per nuovi rapporti con la Chiesa e gli altri movimenti ecclesiali: filmati e cartelli hanno illustrato positivamente l’opera di tante organizzazioni cattoliche per accogliere chi cerca in Italia il proprio futuro. Su questo terreno, particolarmente importante — lo ha sottolineato Giorgio Vittadini — è stato l’incontro con Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e assistente spirituale della Comunità di Sant’Egidio, che ha parlato a lungo “comunicando” papa Francesco circondato da consenso e simpatia. Sulla strada del cambiamento, oggi il principale compagno di viaggio di Cl non può non essere papa Francesco ed è inevitabile l’incontro con chi ne vive la proposta. In questo senso il Meeting ha confermato la straordinaria opportunità di rinnovamento che il papa argentino offre oggi alla Chiesa italiana ma che stenta ancora ad essere accolta.
Alla seconda questione — ripensare la propria storia — sarà probabilmente dedicato il prossimo Meeting. Lo lascia intuire la frase di Goethe scelta come titolo: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo per possederlo”. Sulla strada del ripensamento del proprio passato ci sono le divisioni del cattolicesimo italiano di cui Cl è stata protagonista, ai tempi del referendum sul divorzio o nella contrapposizione tra cattolici della presenza e della mediazione. Ma c’è soprattutto un dilemma che oggi attraversa non solo Cl nel suo complesso ma anche ogni ciellino nel suo intimo: il cambiamento in corso è una ripresa o un tradimento dell’ “anima” più profonda del movimento? Questo seconda possibilità suscita rifiuti drastici, come notava ieri Paolo Rodari su Repubblica. Ma non sempre continuità coincide con fedeltà e più che coltivare il “Giussani del mito” appare oggi importante interrogarsi sul “Giussani della storia”. Persino la memoria di un incontro che ha cambiato la vita, infatti, può diventare un’idolatria delle origini che le priva della loro forza più vera se non si accetta la sfida del presente.



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