Il terremoto con la sua violenza può togliere tutto tranne il coraggio della fede. Continua quel sottile filo rosso che unisce i terremotati dell’Aquila con quelli delle Marche. Continua perché i funerali di ieri sono stati celebrati da monsignor Giovanni D’Ercole, proprio quel vescovo che Papa Benedetto XVI aveva mandato d’urgenza a L’Aquila il giorno dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Lo aveva nominato vescovo ausiliario a supporto dei terremotati, poi il trasferimento ad Ascoli Piceno e qui un’altra volta ancora si è trovato di fronte a una distesa di bare e al dolore di chi aveva perso i propri cari.
Le parole di monsignor D’Ercole sono state il punto di partenza per quello che dovrà accadere nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, nei prossimi anni. La fede come scialuppa di salvataggio diventa per la gente che vive nelle tendopoli l’elemento cardine per poter guardare al futuro. Un po’ come quelle di don Camillo in mezzo all’alluvione, passaggio del racconto di Giovanni Guareschi, citato dal vescovo, che con la semplicità di uomo e la fede di prete riesce a trovare sempre la maniera di essere testimone per la sua gente.
Ieri è stata la giornata di lutto e ad Ascoli Piceno in occasione dei funerali c’erano tutti, dal capo dello Stato Mattarella al presidente del Consiglio Renzi al presidente della Camera Boldrini. La gente ha posto loro le solite domande, ha cercato rassicurazioni per il futuro, perché adesso bisogna guardare in maniera concreta alla ricostruzione, bisogna pensare ai bambini che tra qualche giorno dovrebbero ricominciare la scuola, bisogna soprattutto avere idee chiare su quali strade seguire per evitare lo spopolamento definitivo di questi paesi che sulla carta geografica non esistono più.
Quale sia la soluzione migliore è difficile dirlo. Qualcuno rimpiange la grande operatività dell’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che all’Aquila nel bene o nel male riuscì in dieci giorni a garantire ospitalità a oltre 50mila persone. In questo caso le persone sono un numero notevolmente più basso, ma più bassa sembra anche essere la determinazione a risolvere le cose. Forse è solo un’impressione, ma la gente come il vescovo D’Ercole si chiede cosa bisogna fare. Le risposte sono molteplici, i problemi sono tanti anche se i gesti di solidarietà sono tanti. Sepolti i morti lo sguardo torna su chi è in ospedale, su chi disperatamente lotta ancora, su chi ha domande senza risposta. I vertici dello Stato hanno fatto promesse, obiettivo è stringere i tempi per tramutare le speranze in certezze e sorrisi per ricostruire i borghi là dov’erano.



In Italia la pasta all’amatriciana sta diventando il simbolo degli aiuti. Questo fine settimana era quello della tradizionale sagra ad Amatrice. Ristoranti in tutta Italia stanno proponendo questo piatto per raccogliere fondi. I volontari ci sono, gli aiuti anche. Un giorno i terremotati ricorderanno, come ha detto don Camillo, “la fratellanza che ci ha unito in questi momenti”.

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