“Enea è il più grande imprenditore della storia. Va avanti con forza e tenacia, non si arrende mai. Nella sua avventura ci sono le regole fondamentali per creare qualcosa di importante: la missione chiara in testa, la squadra con la quale realizzarla e la perseveranza”.
Non è proprio così, caro Zuckerberg, anche se dici di amare Roma e il latino. Enea non parte per costruire un’impresa, per amore dell’avventura. Enea è l’uomo della pietas, che obbedisce ai suoi dei, e con pena si offre per un compito. Intendiamoci poi sul concetto di impresa. Come la intendevano gli antichi, e su su fino alle porte della modernità, è slancio appassionato e gratuito per un ideale, audace fino alla morte.
Facebook è altra cosa. La missione non è la mission, anche se foneticamente le somiglia. Significa, dal latino appunto, essere mandati, non avere un obiettivo personale. Che poi se c’è dietro l’azienda, tanto personale non è. Ma tra l’azienda e gli dei, ancora un po’ ne corre. La squadra? No sono i colleghi scelti sulla base dei curricula e della grinta. Enea se l’è trovata, ha dovuto cambiarla spesso, e i suoi compagni si fidavano di lui, non avevano alcun scopo prefissato.
Il confronto pignolo ci sta se l’ospite eterno ragazzino venuto dagli States viene qui a insegnarci la storia e la letteratura, piegandola al suo uso e consumo. E se lo fa davanti a una platea di studenti adoranti, cui i professori d’ordinanza hanno sicuramente spiegato l’Eneide in tutt’altro modo, con meno fantasia ma maggior fedeltà. Studenti della prestigiosa Luiss, avete fatto il liceo, non fatevi imbambolare. Non ha neppure detto “stay hungry, stay foolysh”, che almeno come slogan rimaneva in mente. Vi ha detto che siete tremebondi, avete paura di fallire. Facile per lui, che invece non ha fallito, ed è tra gli uomini più ricchi del pianeta.
“Non saremo ricordati per i nostri errori, ma per quanto abbiamo contribuito a cambiare il mondo”. Già, ma gli errori chi li paga, nel caso? E il mondo lo si può cambiare bene o male. Mica siamo a discutere di nuovo e sempre se i social network siano per o contro l’uomo. E’ evidente che il coltello o il telefono li puoi usare per nobili o biechi fini. E’ evidente che la possibilità di scambiare informazioni, sapere, è un portato fondamentale per la modernità. Per l’uomo, per la sua sete di conoscenza, per il suo sviluppo. Bene ha fatto il papa a chiedere amabilmente alla superpotenza Zuckerberg di darsi da fare per i poveri. La connessione è una bella risposta, ma dipende da come la declini, e da quanto ci fai tu.
Vale per l’elargizione pro terremotati. Non poteva non parlarne, in un paese in lutto, che pure ha avuto cronisti a disposizione per filmare e raccontare le sue corsette intorno al Colosseo. Mens sana in corpore sano, dicevano i latini che ama tanto. E non a caso il nostro premier gli ha dato una copia antica del De amicitia di Cicerone. Ha fatto due più due, gli è scattato subito: chieder l’amicizia, diciamo su Fb. Solo che Cicerone la intendeva in altro modo, non basta citare, bisognerebbe anche leggere. Perché è lui che incita i giovani universitari a studiare studiare studiare. Se glielo ripetono i docenti e i nonni, spallucce. Ma si commuovono “davanti alla mezza icona e mezza divinità che ci ha cambiato la vita”: testuale, di una ragazza che andrebbe espulsa dalle università del regno, a parer mio, fino a recupero di una libera mente.
Divinità? Guardalo, è un uomo, ha una moglie, una figlia, probabilmente ha mangiato a cena gli spaghetti all’amatriciana, che adesso si deve. Un uomo geniale, e molto, molto fortunato. Non mi piace che ci si inchini ai suoi emolumenti: per la devastazione del centro Italia poteva offrire soldi suoi, e senza farlo sapere, invece che Ads della sua piattaforma per la Croce Rossa. Invece di rimandare al Safety Check di Facebook, che è ancora pubblicità aziendale, bastava rimarcare la dedizione e l’eroica professionalità dei nostri volontari. Sempre money, ma con un altro cuore.
E quando viene a proporre, e piazzare i suoi server per “progredire sull’intelligenza artificiale”, e noi diciamo grazie estasiati, sappiamo valutare le conseguenze? A me la parola artificiale non piace, di artificio ce n’è già troppo. C’è dell’artificio anche in queste passerelle di vip che scendono a fare un giro turistico a casa nostra, stringono mani e alzano calici, e ci vedono sempre proni davanti alla loro esemplarità, da Richard Gere a Marck Zuckerberg, appunto. Quelli che regalavano sigarette e cioccolata, almeno, ci hanno liberato da una dittatura di vent’anni. Non siamo un po’ cambiati?