Al termine della cerimonia funebre in cielo insieme a centinaia di palloncini bianchi si eleva il Salve Regina. La cerimonia che si è svolta sotto un tendone ad Amatrice ha rappresentato il dolore di tutti coloro che sotto le macerie del terremoto hanno perso un proprio caro. Monsignor Konrad Krajewski, elemosiniere di Papa Francesco, ha donato a ciascuno delle famiglie legate alle vittime una corona. Un regalo del Papa che ricorda che solo la preghiera va oltre ogni cosa. La gente adesso aspetta Papa Bergoglio, dopo la promessa fatta domenica scorsa durante l’Angelus.
Il vescovo monsignor Domenico Pompili durante la liturgia funebre ha ricordato la distruzione di Gerusalemme, pezzi che cadono, il tempio che crolla, polvere dappertutto. E ha ricordato che “i terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, l’acqua dolce, tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l’uomo esisterebbe senza i terremoti, il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo”. Ventotto bare, la più piccola quella di una bambina di tre mesi, Vera, che avrebbe dovuto essere battezzata domenica prossima. Ma letti, ricordati nella preghiera i nomi di tutte le vittime, senza distinzione di residenza o di religione. In lacrime il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, che si stringe al vescovo per farsi consolare, dopo aver detto “La nostra gente deve restare qui. Queste persone sono morte perché amavano la loro terra”.
Mille persone sotto la tensostruttura, tante altre fuori, sotto la pioggia. E proprio la pioggia ha reso difficile la vita nelle tendopoli e il lavoro di chi sta ancora scavando per trovare le persone che risultano ancora disperse. Ma neanche il maltempo ha impedito di partecipare ai funerali. E tra i presenti, insieme al presidente della Repubblica Mattarella, rimasto anche lui in piedi con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, c’erano comunità ortodosse, islamiche e indiane. Hanno avuto vittime, hanno partecipato ai soccorsi, hanno salvato vite umane, dimostrano che non esistono barriere, confini o muri.
Occhi fissi verso un Cristo crocifisso ma senza croce, che pende nel vuoto, sopra le macerie, salvato dalle macerie, che fa chiesa il tendone. E il vescovo Pompili traccia una strada che sa di sollievo per i terremotati, di insegnamento per i politici, che dà forza ai tantissimi volontari quando parla di mitezza. “Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Un coinvolgimento tenero e tenace, un abbraccio forte e discreto, un impegno a breve, medio e lungo periodo”.
E mite è stato il sindaco Pirozzi che ha mostrato il suo essere uomo piuttosto che politico. Dentro le bare non ci sono persone, ma uomini. Li conosce e li chiama per nome, ricorda i loro mestieri. “I bambini erano compagni di scuola dei miei figli”. Un tu, uno sguardo verso l’altro che si era perso e che il dolore rinnova, recupera. Per una nuova resurrezione. Terrena e celeste.