Negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi del mondo dove l’aborto è legale, esso è praticabile solo prima delle ultime tredici settimane di gestazione, quando il feto diventa “vitale” cioè in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno. Il periodo in cui si può abortire varia poi di qualche settimana. Per i sostenitori dell’aborto, il feto in sostanza è sempre stato definito più o meno un grumo di cellule, senza vita, senza autonomia, da asportare come si esporta una qualunque parte del corpo. C’è una foto, scioccante, postata sui social network da una donna americana che ha perso il proprio figlio all’undicesima settimana di gestazione, un periodo nel quale appunto il feto sarebbe niente che un grumo di cellule. La donna, Tiffany Burns, ha voluto postare l’immagine di quel piccolo essere nelle sue mani: “questa è la mia mano, che tiene il mio dolce bambino, Ezechiele” ha scritto. Il cuore del feto ha smesso di battere all’undicesima settimana e due giorni, spiega, e con questa foto ha voluto provare che “questo non è un grumo di cellule, il suo cuore batteva e pulsava”. “Era del tutto formato (e lo si vede nella foto, ndr), era perfetto, osservate i dettagli: le dita delle mani, le unghie. E’ una benedizione essere stata sua madre, ha vissuto per mostrare agli altri la vita. Condividete questa foto se volete, lui è il mio piccolo missionario” ha scritto ancora.