In questi giorni si parla della sentenza del Tar Lazio che nega ai medici obiettori la libertà di operare nei consultori laziali. Che cos’è la libertà? Se lo chiede Giovanni nel capitolo 19 del suo vangelo, dove Pilato interroga Gesù di Nazareth. Libertà è un concetto estremamente difficile da definire, oserei dire quasi impossibile. Per me libertà è la capacità di aderire al Bene facendone quasi cosa mia, motivo di vita.Noi però ci chiediamo se i termini “legale” e “lecito” siano sinonimi: è legale praticare un aborto volontario ma la pratica dell’aborto non è lecita. Quest’idea potrebbe sembrare abbastanza peregrina. Che cosa cambia nella nostra vita se interrompere una vita sul nascere è legale o lecito? Apparentemente nulla. Ma io sono profondamente convinta che sia una specie di nodo della “questione”: la vita o la morte.
Per noi adulti responsabili la risposta è piuttosto lineare; tranne alcuni casi sull’eutanasia o sul testamento biologico, risulta immediata la scelta di vita. Non è quasi mai così, però. A cominciare dai bambini da poco concepiti, non è possibile agire la libertà di scelta. Altri stabiliscono se possono continuare a vivere oppure no. Ancora nella categoria dei medici si dibatte su questa forma di libertà. Ai medici infatti viene chiesto: sei disponibile a dare la morte? L’obiezione di coscienza è un fatto fortemente doloroso. I medici per la vita che vogliono continuare a svolgere il proprio lavoro sembra debbano dire di sì. E’ libertà, questa? E’ aderire al Bene? Sono proprio convinta di no. Delle azioni umane giudice supremo è la coscienza, che per la morale cristiana si definisce cerziorata, cioè confrontata con i principi di verità e con le persone che di questo sono maestre.
I medici ai quali viene rivolta questa domanda non possono rispondere negativamente, se vogliono continuare a svolgere il loro lavoro. Non posso dimenticare un medico di mezza età che dopo una mia conferenza disse: “Lei crede che io sia contento di praticare aborti? Mi sento le mani insanguinate e sarei felice di non doverlo più fare. Ma vi sono costretto per poter mantenere la mia posizione in ospedale”.
Un’altra volta, durante una festa per la vita, avevano invitato un ex “grande abortista” a raccontare la sua esperienza. Suonavano tante canzoni, i più giovani si divertivano inseguendo le note e anche il prestigioso invitato muoveva le mani a ritmo di musica. Ricordo molto chiaramente la mia impossibilità di guardare quelle mani piene di vita che avevano causato tante morti. Anche alla Mangiagalli, dove presto la mia opera di volontariato, un ottimo medico ha fatto obiezione di coscienza dopo migliaia di aborti.



Perché tutto ciò non dev’essere possibile? Che senso ha mettere un capestro per una scelta che mi sembra legittima? Eppure tutto ciò non mette in imbarazzo la maggior parte degli italiani che, ignari, non si pongono il problema.
Eppure dare la vita sembrerebbe la cosa più ragionevole e dovrebbe essere una scelta libera. Com’è possibile costringere una persona a fare la scelta contraria? In un Paese che, oltretutto, soffre del calo demografico, sappiamo che in conseguenza delle non-nascite degli anni ottanta tra brevissimo sarà impossibile per lo Stato provvedere alle pensioni di chi per una vita ha lavorato.
Vivere non è solo un fatto biologico. Vivere è spendersi per le cose grandi e difficili.

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