NEW YORK — Una ricerca approfondita offre una fotografia accurata della situazione. Una fotografia accurata della situazione permette la comprensione del problema. La comprensione del problema rende possibile la definizione di azioni correttive. 

Fila, no?

Adesso chiediamoci se possiamo applicare questo metodo di lavoro al rapporto tra esseri umani e fede. Perché questo è quanto ha fatto il Dr. Mark Gray con i suoi collaboratori per conto del Center for Applied Research in the Apostolate (Cara) della prestigiosa Georgetown University, a Washington D.C. 



Presumibilmente la fotografia accurata c’è, ed è un’istantanea della progressiva erosione non tanto della partecipazione alla messa domenicale (quella sta impallidendo da tempo; si calcola che sì e no il 20 per cento dei cattolici americani ci vadano regolarmente), quanto della “fede” stessa. 



Ci sono quasi 70 milioni di cattolici negli Stati Uniti d’America, la denominazione religiosa più numerosa, ma la ricerca del Cara (il centro di cui sopra) ce li mostra come un albero certamente ancora grande e grosso, apparentemente pure vigoroso, ma la cui linfa vitale sembra andarsi inaridendo inesorabilmente. La fotografia di Gray e della sua équipe ci dice che la fede la si perde già verso i dieci anni di età.

“E’ in crisi il concetto stesso di fede”, dice Gray, “questa è una generazione che fa così fatica con la fede come non avevamo mai visto nelle generazioni precedenti”.



Com’è possibile? “E’ l’incompatibilità tra fede e quel che vanno imparando alle scuole superiori ed in università”. Ed in questa battaglia tra Santa Romana Chiesa e scienza, è la prima a soccombere. Con la fede, a differenza della scienza, non ci sono prove, quindi lasciamo stare Dio. Tanti se ne vanno, pochissimi ritornano. I numeri sono numeri, i fatti, fatti. Giovani e giovanissimi se ne stanno andando, e ci credo che, intervistati, giustifichino così la loro scelta. Ma siamo proprio sicuri che sia tutto un problema di rotta di collisione tra fede e scienza? 

I ricercatori, gli studiosi, gli esperti e gli educatori sono loro, ma a me verrebbe da dire che a 10, 12 anni si capisce poco sia di scienza che di fede. A quell’età si capisce poco in generale…

Come diceva il nostro grandissimo amico Lorenzo Albacete, lo scienziato-teologo, “Faith identifies the mystery with a concrete reality of this world and that’s where its claim has to be sustained”, la fede identifica il mistero con una realtà concreta di questo mondo, ed è li che la sua pretesa va dimostrata”. E’ profondamente vero, ma non mi sembra questo il campo di battaglia per chi non è neanche teenager. 

Quel che mi ferisce di più nel guardare questi giovani “senza fede” è l’impoverimento dell’umano, la debolezza del desiderio, la fragilità affettiva, la difficoltà a stare di fronte alla realtà. Sono “malattie” endemiche di sempre, ce le portiamo addosso tutti, ma oggi sono più diffuse ed acute. E l’impoverimento dell’umano porta inevitabilmente ad un impoverimento del concetto di ragione, immiserito e ridotto a calcolo del proprio immediato tornaconto. 

Non è questione di “prove”. La “prova” non convincerebbe nessuno. Come quando, teenager, venni avvicinato da un prete che mi conosceva e che aveva notato la mia assenza a messa. “Vieni — mi disse — siediti che ti spiego istante per istante il significato di ogni gesto della messa. Cosi capirai”. “No, grazie — gli risposi —. Non mi interessa”. 

La “prova” può convincere la giuria di un tribunale, ma non il cuore dell’uomo che non cerca. 

E arriviamo alle conclusioni della ricerca: ci vogliono “attività settimanali”, come lavoro catechetico, gruppi di studio delle Scritture, raduni per giovani; ci vogliono nella vita “adulti di fede oltre ai propri genitori”; ci vogliono “profonde esperienze spirituali”. I nostri ricercatori giungono a questa conclusione attraverso l’osservazione: chi trova queste cose non se ne va. Perché, come diceva Msgr. Albacete, la fede identifica il mistero con una realtà concreta. 

Insomma, c’è bisogno di una scintilla di Bellezza più forte del torpore della distrazione e dell’opacità del  disinteresse e della noia. 

Per i giovanissimi, ma anche per noi, perché nessuno può vivere senza.