Il 3 giugno di quest’anno, all’età di 74 anni si è spento uno dei giganti delle sport mondiale. Per qualcuno il più grande di tutti: Muhammad Ali. Non solo uno sportivo eccezionale che ha saputo riconquistare per ben tre volte il titolo mondiale dei pesi massimi e con una carriera incredibile (56 vittorie su 61 incontri), ma anche un uomo che con le sue scelte politiche (memorabile la sua battaglia contro la guerra in Vietnam che gli costò la cancellazione del titolo e tre anni di lontananza dal ring) ma anche con le sue posizioni religiose (con la conversione all’islam) e le battaglie per i diritti dei neri è diventato un’icona.
Nato con il nome di Cassius Clay il 17 gennaio del 1942, ha segnato profondamente la storia dei suoi tempi e fino all’ultimo, anche nella malattia (il morbo di Parkinson, ndr) che ha reso difficile la sua vita dal 1984 in avanti, è stato al centro dell’attenzione politica e mediatica mondiale. Nei nostri tempi, fatti di grandi tensioni interculturali, le sue parole possono essere un punto di partenza per provare ad affrontare la cultura del diverso da un altro punto di vista.
Intanto per la sua convinzione che tutto potesse essere possibile. Oggi si sente sempre più spesso dire che trovare la pace sia un sogno, una chimera. Che il dialogo tra i popoli, tra est e ovest, tra nord e sud, tra ricchi e poveri, tra religioni e lingue differenti non sia più possibile. “Impossibile — dice Ali nella biografia scritta da Thomas Hauser — è solo una grossa parola pronunciata da piccoli uomini, che trovano più facile vivere nel mondo che gli è stato dato piuttosto che lottare per cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto. È un’opinione. Impossibile non è una regola. È una sfida. Impossibile non è uguale per tutti. Impossibile non è per sempre. Impossibile è niente”. Questa sua determinazione ha fatto dire a Bob Dylan: “Ha instillato coraggio e paura nel cuore degli uomini e rimane un faro di forza ed indipendenza. Ha dimostrato che si può lottare per i propri principi contro forze soverchianti e vincere”.
Le 577 pagine della sua biografia contengono molti spunti di riflessione che meritano di essere letti e che possono essere la base di discussioni che non devono necessariamente essere a senso unico. Certo, Ali è evoluto nel tempo e con lui le sua posizioni, sia nella carriera sportiva che nella vita familiare e in quella religiosa. È’ stato un uomo che ha fatto errori. Come tutti. Quello che colpisce, però, nelle parole degli intervistati è la sua determinazione e la volontà di mettere sempre l’essere umano al centro dell’attenzione. Innumerevoli gli episodi di donazioni, regali, o semplicemente di tempo concesso a gente povera e disperata che non conosceva neppure.
Ecco perché credo sia stimolante riproporre almeno un paio di pensieri di grande attualità. Uno sull’odio. E non possiamo non pensare agli innumerevoli attentati che hanno funestato questo 2016 e alle guerre tutt’ora in corso in tanti paesi vicini e lontani a noi. “Tutto questo odio nel mondo — dice Ali — è sbagliato. Scordiamoci le nazioni, il colore della pelle, le diverse religioni. Siamo tutti uguali, tutte creature di Dio. L’unica cosa che rende un uomo migliore di un altro è la bontà delle sue azioni agli occhi del Creatore. È solo lui può giudicarle. Il giudizio non spetta a nessun altro, In questo paese (gli Usa, ndr) c’è stato qualche progresso nella convivenza tra popoli differenti, ma l’odio non è sconfitto. E odiare qualcuno per il colore della pelle è sbagliato, sempre e comunque. Le persone devono imparare a vivere in pace tra loro, a prescindere dal colore”.
La seconda riflessione del grande campione è sulla fame nel mondo. Una prospettiva, apparentemente diversa dalla prima, ma in realtà profondamente collegata e che sta, fortunatamente, diventando sempre più centro di discussione in tema di etica, impresa e rapporti tra gli Stati. “Mi preoccupa la fame nel mondo. Perché la fame non è solo bisogno di mangiare: ti fa ammalare, ti impedisce di lavorare, non riesci a studiare perché sei troppo debole per concentrarti… Nessuno dovrebbe essere costretto a dormire per strada… La gente dice che sperpero i miei soldi. Ma come si fa a camminare per la strada, vedere una signora anziana talmente affamata da rovistare nei bidoni dell’immondizia, e passare oltre senza darle qualcosa?”.
In agosto sono stata per la prima volta al Meeting di Rimini dove il tema centrale era: “Tu sei un bene per me”. Mentre seguivo conferenze e vedevo mostre sull’immigrazione, i carcerati, le imprese e tanto altro ancora, continuavano a tornarmi in mente i gesti le parole di Ali: “Impossibile è niente”. Mark Twain scriveva “E’ strano come il coraggio fisico sia tanto comune e quello morale tanto raro”. Forse dovremmo ripartire da qui per dialogare con gli altri. Da qualunque posizione partiamo e dovunque vogliamo concludere il nostro viaggio.