Un sondaggio, proposto ieri dal sito LeParisien.fr, ha chiesto ai lettori se si sentono pronti a tornare ad assistere ai concerti all’interno del Bataclan, il locale parigino dove i terroristi dell’Isis ammazzarono 89 persone la notte del 13 novembre 2015. A metà giornata il sondaggio mostrava che la maggioranza dei francesi non ne ha una gran voglia: il 60,9% infatti aveva risposto di no contro il 39,1% di sì. Una maggioranza schiacciante.
Il prossimo 16 novembre, un anno e tre giorni dopo la strage, il Bataclan infatti riapre, come promesso fin dall’ultima chiusura. Lo fa con due concerti dell’ex Libertines ed ex fidanzato della modella Kate Moss, Pete Doherty, che suonerà anche la sera dopo. In programma poi ci sono dozzine di altri concerti, alcuni dei quali con musicisti islamici, come Youssou N’Dour.
Tra chi dice che non tornerà al Bataclan ci sono diversi superstiti di quella notte e si possono capire. Chi vorrebbe tornare tra le stesse mura dove ha visto la gente intorno a lui morire ammazzata e lui stesso salvarsi per un pelo? Il trauma può durare anche tutta la vita. Altri, sempre tra quelli che sono sopravvissuti, dicono che invece tornare al Bataclan significa mostrare solidarietà alle famiglie delle vittime e, soprattutto, mostrare ai terroristi di non avere paura di loro. Anche questo si può capire: non darla vinta a chi ha cercato di soffocare uno spazio di libertà è un motivo più che valido.
Organizzatori di concerti hanno a loro volta sostenuto che bisogna fare di tutto perché il locale torni alla normalità. Sul sito del giornale francese, un lettore ha lasciato però questo commento: “Fare festa in un cimitero?”, mentre una ragazza di vent’anni che era lì quella sera ha detto probabilmente la cosa più sensata: “Divertirsi in un posto dove sono morte tante vittime innocenti sarebbe impossibile”.
Già: chi penserebbe mai di fare un concerto o uno spettacolo, ad esempio, ad Auschwitz? Il silenzio e la solitudine totale con la quale il papa ha visitato questa estate quel luogo sono un esempio memorabile di rispetto per chi è morto innocente. Ma, si dirà, è blasfemo paragonare chi va a un concerto rock agli ebrei deportati nei lager.
La domanda sul ritorno alla normalità e il rispetto per il dolore resta aperta, così come restano aperte tutte le ferite che le ondate di attacchi e stragi hanno aperto in una Europa che si sentiva al sicuro e lontanissima dalla Siria o dall’Iraq. Se a Nizza dopo la strage del tir c’è chi nel punto in cui è stato ucciso il killer ha fatto con la spazzatura un “memoriale all’odio”, in questo modo facendosi risucchiare nella stessa logica nera degli assassini, il rischio è che il “ritorno alla normalità” del Bataclan segni la dimenticanza. E noi occidentali siamo bravissimi a eliminare dalle nostre vite tutto quello che è doloroso, fastidioso. A chiudere le ferite, invece di lasciarle aperte.
E loro, la band che era sul palco quella notte del 13 novembre? Non c’è traccia almeno per adesso degli Eagles of Death Metal nel programma del Bataclan, eppure avevano detto che avrebbero voluto essere i primi a tornare a suonare lì. La scorsa estate la band americana è stata cancellata da ben due festival francesi in cui erano in calendario. Agli organizzatori non erano piaciute, sembra, le parole del frontman Jesse Hughes che in un’occasione aveva detto che se gli spettatori fossero stati armati, si sarebbero potuti difendere e non finire ammazzati, dichiarandosi così sostenitore della libertà di possedere armi da fuoco. Eliminati anche loro, in nome del ritorno alla normalità? Troppo scomodi?
Nei primi giorni di settembre gli Eagles of Death Metal si sono esibiti in Italia in tre concerti che hanno richiamato un gran numero di spettatori. Evidentemente nessuno ha avuto paura che potesse di nuovo succedere qualcosa. Al concerto che hanno fatto a Sestri Levante tra il pubblico c’erano famiglie, papà con i bambini sulle spalle e addirittura una coppia di sposini ancora vestiti da nozze che dopo aver celebrato il matrimonio a Brescia erano corsi fino a qua per festeggiare con la band. Che li ha notati fra il pubblico e li ha invitati a bere con loro dopo il concerto. Una grande festa insomma, che ha tenuto lontano i fantasmi di quella notte a Parigi.
Stranamente però dalle scalette del gruppo americano è scomparso il pezzo che stavano suonando al Bataclan quando i terroristi sono entrati in azione, Kiss the Devil. Alla fine dei concerti Jesse Hughes, che ancora oggi quando ricorda quella notte del 13 novembre 2015 non trattiene le lacrime, ha gridato: “Rock’n’roll will never die!”, il rock’n’roll non morirà mai. E intanto sta terminando un film documentario sulla sua vita in questo ultimo anno, una vita che non è più la stessa. Si intitola “The Redemption of the Devil”, la redenzione del diavolo. Per lui, almeno, tornare alla normalità non ha volute dire dimenticanza.