Il quotidiano fiammingo Het Nieuwsblad racconta che nei giorni scorsi c’è stato in Belgio il primo caso di eutanasia su un minore; è il primo al mondo perché il Belgio è il primo — e finora unico — stato ad aver approvato una legge che lo consente. Il giornale sottolinea che il fatto è avvenuto nel silenzio e nella discrezione più assoluta. Mancano infatti tutti i dettagli sia sull’età (ma pare essere di 12 anni) che sulla malattia del minore.



Di tutta la notizia, di per sé drammatica, questo è l’aspetto più raggelante. Siamo un mondo strano. Siamo gente strana. Difendiamo in modo assoluto il diritto alla privacy di una persona con mille leggi, regole e sanzioni, ma non sappiamo difenderne la vita. Questo bambino è morto per mano nostra ma ne difendiamo la privacy. Forse, inconsciamente, senza nome e senza storia ci sembra meno persona, meno bambino, meno vita? Ma un bambino è un bambino anche senza nome.



Era in fase terminale. Questo prevede la legge: fase terminale. Cioè sarebbe morto comunque. Come ciascuno di noi. Che moriremo tutti. Chissà quanto soffriva perché i suoi genitori siano giunti ad aver preso questa decisione in qualche modo assieme con lui. Perché la legge specifica che anche il minore deve esprimere “una forma di consenso”. Chissà cosa pensano ora, dopo aver applicato l’eutanasia (“dopo averlo ucciso” non sono riuscito a scriverlo). Gli adulti coinvolti sono tanti. Papà. Mamma. Pediatra di base. Medici vari.

Il bambino, malato terminale, non possiamo dire che sia adulto perché è ancora di più: lo trattiamo come Dio. Gli facciamo scegliere se vuole morire. Però non deve essere depresso. Perché se è depresso la sua decisione non è pienamente libera. Cioè abbiamo un bambino malato terminale cui i genitori chiedono se acconsente all’eutanasia ma non deve essere depresso: deve essere lucido e sereno. Questa tragica follia — con l’aggiunta del valore della privacy che diviene valore fondante — si tinge dei colori del delirio. Lo so, non ho un figlio e non ho un figlio malato terminale ma vivo anch’io e quindi sulla vita posso dire la mia. Che dignità ha la vita?



Fino a quale livello di dolore e di respiro è degna? Terminale che vuol dire? Quanti minuti di vita devo avere ancora per poter decidere di non viverli? Sono domande cui nessuno di noi può rispondere, solo Dio appunto. Non che un adulto possa “fare” Dio ma che lo si chieda a un bambino è proprio un ossimoro. 

Perché Dio è quello che stringe la mano all’uomo e l’uomo, che è bambino, è quello la cui mano è stretta. Lo dice anche la foto che molti siti hanno scelto per raffigurare la notizia. Una manina con dei tubicini e cerotti che viene stretta da una mano adulta. Perché non mettere le due mani separate o la manina sola? Perché non ce la facciamo proprio. Perché la verità se non la puoi immaginare, guardare, raffigurare, non la puoi neanche “fare”, vivere. Perché siamo fatti per custodirci. Fino alla fine, fino a tutta la vita. Siamo fatti di vita, fino alla fine.