Sarebbe stata individuata la zona dove gli italiani rapiti in Libia sarebbero tenuti sotto sequestro da ormai due giorni, ma il problema rimane la corso contro il tempo per impedire che i due tecnici della Conicos possano essere venduti a cellule terroristiche come Isis o Al Qaeda. Sono state svelate fonti del governo di Tobruk secondo cui una squadra è in contatto con i rapitori e avrebbero individuato la zona al confine con l’ara di Ghat, vicino all’Algeria. «Stanno tentando di entrare in contatto con i rapitori per trattare la liberazione degli ostaggi», spiega la fonte. Intanto pare che la figura chiave possa essere l’autista del suv in cui viaggiavano Bruno Cacace e Danilo Calonego, assieme al collega tecnico canadese. L’autista è stato trovato ieri mattina legato a pochi chilometri dalla zona del rapimento, ma ora è sotto torchio con un interrogatorio che da ore continua – riporta la Stampa – perché non convince la sua posizione. Si sospetta un accordo con i rapitori e ora è proprio da lui che si tenta di trovare qualche fonte e notizia in più per liberare vivi i nostri due tecnici connazionali.
Sarebbero ancora nell’area di Ghat i due italiani rapiti in Libia lunedì scorso, come riporta l’agenzia di stampa Ansa. Al momento si stanno attuando blocchi nelle possibili vie di fuga per evitare che Bruno Cacace, 56enne residente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), e Danilo Calonego, 66enne della provincia di Belluno, vengano spostati. Gli italiani rapiti in Libia sono due dipendenti della Con.I.Cos (Contratti Internazionali Costruzioni) di Mondovì: sono stati rapiti nel sud del Paese insieme a un collega canadese mentre lavoravano come manutentori all’aeroporto di Ghat. Il principale punto di contatto è per ora il sindaco della cittadina libica, Komani Mohamed Saleh, che ha dato la notizia del sequestro. Ancora non ci sono state rivendicazioni del rapimento anche se l’ipotesi è che i due italiani rapiti in Libia siano nelle mani di criminali locali. Il premier Matteo Renzi ha dichiarato: “Su queste cose lavoro, silenzio e prudenza”.
La storia degli italiani rapiti in Libia purtroppo è tutt’altro che vicina ad una svolta positiva: al momento in cui vi scriviamo la situazione vede i due operai della Conicos purtroppo ancora in mano si sequestratori che ormai da 48 ore tengono in pugno i nostri connazionali. Gli accordi eventuali che avrebbero potuto tenersi se fosse stato un sequestro lampo non ci sono stati – o sono andati a finire male, ma questo al momento lo possono sapere solo i servizi segreti – e per questo motivo ora il vero timore è che i due operai manutentori rapiti nel sud della Libia possano essere venduti ad un gruppo jihadista più grande – Isis o Al Qaeda sono le drammatiche ipotesi – che li possa utilizzare come merce di scambio per rivendicazioni o appelli contro la presenza italiana sul suolo libico. Intanto a parlare è un ex rapito, testimone delle atrocità in terra libica, una vittima innocente che però è riuscito a sopravvivere e tornare in Italia dopo l’incubo vissuto nel marzo 2014. Si tratta di Gianluca Salviato, rapito dai seguaci dell’Isis e liberato sei mesi dopo, che è stato intervistato dal Gazzettino dopo aver scoperto del sequestro ai danni dei due tecnici italiani. «Io spero e prego che li liberino presto, anche perché ogni volta che avviene un rapimento di un nostro connazionale provo un grande dolore. Io so cosa vuol dire avere un kalashnikov carico puntato in fronte – spiega – E, soprattutto conosco perfettamente la situazione d’ansia e di apprensione che stanno vivendo i loro familiari in questi momenti terribili. E, ogni volta è un grande dolore, ma soprattutto provo tanta rabbia perché bisogna mettere fine a questi rapimenti». La situazione raccontata dal testimone è purtroppo disperata, specie perché racconta come di italiani che lavorano in Libia ce ne sono ancora tanti per le molte imprese del nostro Paese che hanno investito in terra libica. «lì in Libia la situazione è difficile, non sai mai di chi ti puoi fidare: anche il tuo stesso autista ti può vendere per pochi soldi ai rapitori. L’Italia ha innumerevoli interessi in Libia. E così pur di lavorare si parte anche sapendo di correre molti rischi, perché purtroppo qui in Italia non c’è lavoro».