“Tredici anni, tolto alla tutela materna perché troppo effeminato”, titola a grandi caratteri Il Mattino di Padova. E scoppia la polemica, naturalmente. Immaginiamola, senza inventare troppo. Ancora discriminazioni sulla base di un’identità sessuale, che dev’essere scelta liberamente, ancora lo scandalo per una diversità che non riesce ad essere accettata dal contesto sociale. Vado avanti, apposta: Padova, città leghista, quindi discriminatoria per status, città ancora legata alle tradizioni cattoliche, e guarda che begli esempi, con quel parroco che si portava le amanti in canonica e le faceva prostituire… Se un ragazzino a 13 anni si trucca gli occhi e si mette lo smalto sulle unghie, che bisogna fare? Sgridare i compagni che sorridono, o lo deridono? E’ possibile dire che se non è un burlone esprime un disagio, su cui bisogna andare a fondo? La madre nega, parla di travisamenti giocosi per Halloween. 



E’ chiaro che allontanare dall’ambiente familiare un bambino o poco più perché ostenta abbigliamenti femminili, sarebbe una follia pura, da radiazione immediata del giudice minorile titolare. E infatti non è così. Il ragazzino in questione è ben noto, ahimè, al tribunale. C’è il padre accusato di abusi sessali. E la madre che lo difende, e l’uomo viene assolto. Ma il bambino ha parlato e spiegato. E chissà come mai è stato assolto. C’è l’affidamento a una comunità. Che rileva il disagio di cui sopra, sempre accompagnato da un’esibizione anomala di una diversità sessuale, anomala per i modi e per l’età del bambino, certo non uso a rivendicazioni pubbliche sulla sue predilezioni sessuali. 



Si può dire che non sono atteggiamenti normali, e che è giusto segnalarli e cercare di capire da cosa derivano. Se c’è poi una presunta storia di abusi, fare due più due non è così azzardato. Chi avrà suggerito a quel ragazzino di comportarsi così, sfacciatamente, quando ben sappiamo che se una cosa interessa ai ragazzini è essere accettati, ed entrare nei parametri del loro branco, giusto o sbagliato che sia? E’ strano e discriminatorio indagare? L’omosessualità può essere una scelta. Può essere una costrizione. Può essere il segno di un disagio, esattamente come se il ragazzino si fosse fatto beccare a toccare le terga a una sua compagna, più e più volte, esibendosi in provocazioni machiste. 



Dunque, le bufale che girano sul web e di cui pare preoccuparsi la comunità dei saggi girano anche sui giornali, e hanno ancora maggior credibilità: la notizia non è l’aver additato al pubblico ludibrio un tredicenne strappandolo al nido familiare accogliente e protettivo. La notizia sconvolgente è che due genitori perlomeno dubbi, sottoposti a processo per atti turpi, poi assolti ma con un bimbo che afferma il contrario, continuino a fasi alterne ad occuparsi di lui.

Che il ragazzino in questione con una situazione di tale disagio non sia seguito con amore dai servizi sociali, non abbia trovato una casa affettuosa nella comunità cui era stato destinato. Ci si chiede perché mai i giornali abbiamo dato credito alla testimonianza della madre, negando ipso facto quella di insegnanti e compagni e istitutori della casa famiglia. 

La madre, che non risulta aver difeso il figlio davanti ai sospetti degli abusi paterni. Insomma, la discriminazione non c’entra affatto. Perlomeno, in attesa di aprire tutte le ferite di quest’ennesima storia di dolore adolescenziale, ci siano il silenzio, la prudenza doverosa, che non sfrutta il dramma di un ragazzino per battaglie ideologiche che servono ad altri.