Per la seconda udienza generale del nuovo anno, nell’aula Paolo VI, la grande aula per le udienze, sono convenuti molti pellegrini provenienti da diversi paesi per ascoltare la catechesi di Papa Francesco che tratterà ancora, come lo scorso mercoledì, il tema della speranza cristiana. Il Papa saluta, stringe mani, accarezza bambini, benedice i presenti e ascolta insieme con loro il Salmo 115, letto in otto lingue, che parla delle false speranze negli idoli. Poi Bergoglio inizia il suo discorso, introdotto dal segno della croce e dal saluto liturgico. Il tema del risveglio della speranza caratterizza questa parte dell’anno liturgico, fra dicembre e gennaio: Avvento e Natale. Sperare è un bisogno primario che, da sempre presente nell’essere umano, viene oggi spesso reso con l’espressione ‘pensare positivo’. Ma la speranza non può essere generica: essa va indirizzata verso ciò che dà senso alla nostra vita, verso ciò che può aiutarci a vivere meglio. La Sacra Scrittura ci avverte del pericolo costituito dalle false speranze, inutili ed insensate: quelle che spesso riponiamo negli idoli.
Più di una volta, come ci dicono i sapienti, di fronte agli ostacoli che la vita ci presenta sentiamo che la nostra fede in Dio vacilla, la sentiamo fragile e sentiamo il bisogno di certezze assolute. Qui sta il pericolo. Chiediamo a Dio di intervenire magicamente per risolvere i nostri problemi in vece nostra. Cerchiamo effimere consolazioni, nella sicurezza che immaginiamo possa provenire dal denaro, dal potere, dalla mondanità o dalle ideologie. Francesco ricorda che a Buenos Aires, per trasferirsi a piedi da una chiesa ad un’altra, passava per un parco affollato di veggenti che leggevano la mano ai passanti, i quali pagavano per ascoltare stupidaggini, un po’ come nel film ‘Miracolo a Milano’, dimenticando che la speranza che Gesù ci offre è del tutto gratuita. Gli idoli ci piacciono. Il Papa torna al Salmo 115, che ironicamente denuncia la mendacia e l’impotenza degli idoli d’argento e d’oro: hanno bocche, occhi, orecchie e piedi, però non parlano, non vedono, non odono, non camminano. Ma non tutti gli idoli sono fatti di metallo: ci sono anche quelli che noi costruiamo con la nostra mente. Dimenticando che siamo fatti ad immagine di Dio, vogliamo farci un dio a nostra immagine, un’immagine fra l’altro malriuscita.
Amiamo rivolgerci agli idoli invece che al nostro Signore; preferiamo la speranza piccola alla speranza grande; riponiamo la nostra fiducia in simulacri muti come la ricchezza ed il successo, e non nel Dio della vita che con la sua parola ha creato l’universo. Anche doni di Dio come la bellezza o la salute possono diventare idoli, e come tali portare con sé la morte. Bergoglio ricorda con dolore una donna molto bella che giustificava il suo recente aborto con l’esigenza di non danneggiare la propria figura. Il Salmo 115 ci ammonisce che se riponiamo la nostra speranza negli idoli diventiamo come loro: incapaci di aiutare gli altri, di donare noi stessi, di sorridere, di amare. Il pericolo delle false speranze non risparmia gli uomini di Chiesa, che si mondanizzano dimenticando che bisogna stare dentro al mondo ma nel contempo bisogna starne fuori e prendere le distanze dalle sue illusioni. Gli idoli deludono sempre, la speranza ben riposta non delude mai. Dio si ricorda di noi fino alla fine del mondo, e se confidiamo nel Signore possiamo diventare come lui, fino ad entrare nel suo raggio che ci salva. Francesco chiude il suo discorso con una lode al Dio vivo e vero nato da Maria, morto per noi e poi risorto.