Sono stati finalmente emanati, dopo un lungo iter procedurale, i nuovi livelli essenziali delle prestazioni che il servizio sanitario nazionale erogherà a tutti coloro che ne hanno diritto. Si tratta di un compito di natura costituzionale che il Governo ha finalmente realizzato dopo averlo concordato con le Regioni, visto che saranno prevalentemente le Regioni a farsi carico dell’erogazione concreta di tali prestazioni tramite i loro servizi sanitari regionali. L’espressione linguistica (“livelli essenziali”) non deve trarre in inganno: non si tratta infatti solo delle prestazioni “essenziali” ma di tutto quanto lo Stato si fa carico per garantire la salute dei cittadini, che praticamente copre tutti i settori e tutte le malattie.
Declinare in concreto quali siano queste prestazioni è una funzione fondamentale ed esclusiva dello Stato centrale, che si fa anche carico dei rispettivi costi (e infatti il nuovo decreto determina tali costi nella misura di 800 milioni di euro a carico del Fondo sanitario nazionale) ma, per l’intreccio delle competenze tra i vari livelli di governo e soprattutto con le Regioni, è necessario che queste ultime partecipino al procedimento che permette di raggiungere il risultato.
Le Regioni sono state dunque coinvolte nel processo e, pur avendo assentito, da subito stanno facendo problemi sull’aspetto finanziario, essendo le risorse stanziate — a loro parere — troppo basse perché la garanzia delle prestazioni sia effettiva e consenta davvero a tutti di accedere alle prestazioni promesse. In questo senso, va detto che i margini di scelta delle Regioni sono praticamente inesistenti e sarà loro compito anche reperire eventuali risorse aggiuntive (es. tramite ticket o calmieramento delle prestazioni stesse). Per questo non secondario aspetto sarà pertanto necessario fare le dovute verifiche a qualche mese dall’entrata in vigore del decreto.
Come è stato riportato dalla stampa, il provvedimento definisce attività, servizi e prestazioni garantite ai cittadini dal Ssn, ne aggiorna le descrizioni tecniche, ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dal pagamento del ticket (che viene poi in concreto determinato dalla singole Regioni) e innova i nomenclatori della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica. Tra tutte queste prestazioni sono comprese le procedure di fecondazione assistita, sia omologa che eterologa. Questa decisione serve a dar corpo alla sentenza della Corte costituzionale che ha parificato le due forme di procreazione medicalmente assistita (Pma) ma come forme di cura della sterilità.
La sentenza, come si ricorderà, aveva destato molte perplessità proprio in assenza della fecondazione eterologa tra i livelli essenziali di assistenza, assenza che aveva portato le diverse Regioni ad attuare la sentenza stessa in modo differenziato, alcune in modo gratuito, altre a pagamento (con la conseguenza che alcuni giudici avevano poi condannato queste ultime regioni a fornire questa prestazione in modo gratuito o quasi gratuito). Su tale aspetto il nuovo provvedimento fa chiarezza e crea una situazione di uniformità su tutto il territorio nazionale.
Da questo punto di vista non vi è molto da aggiungere o commentare: tale pratica può essere considerata da molti in modo negativo sul piano morale, così come problematica ne era stata valutata l’introduzione non per legge ma per sentenza, con tutti gli aspetti negativi e confusi che ne erano seguiti. E, tuttavia, col presente provvedimento il cerchio si chiude: ora lo Stato si fa carico di questa prestazione e il Servizio sanitario nazionale è vincolato a darvi seguito.
Se il cerchio è chiuso non è detto che anche la relativa questione di fondo possa essere risolta e messa a tacere. E’ bene infatti non dimenticare che, almeno per il caso presente, la fecondazione assistita (omologa o eterologa che sia) non è una “cura” per una “malattia” ma un tentativo di offrire un ristoro, una via di accesso, alle coppie che vivono con sofferenza la sterilità senza che questo possa mai garantire una sorta di “diritto al figlio” o il cosiddetto “diritto all’autodeterminazione procreativa”, ci sui pure tanto si parla.
Il buon risultato delle prestazioni, in questo come in tutti i casi di limitazione della salute, è e resta l’esito inaspettato e gratuito di una evoluzione naturale che l’uomo, pure lodevolmente impegnato in progressi tecnologici e nella scoperta di nuove vie per alleviare la sofferenza dei fratelli, non è ultimamente in grado di determinare da sé solo. Tutto ciò si può negare o guardare con insofferenza, come lo scientismo dilagante spinge a fare. Si può, in alternativa, considerarlo come il segno di una più profonda e nativa dipendenza, riconoscere la quale può essere per l’uomo stesso, e per il suo tendere al bene, estremamente conveniente.