Cosa insegna la svolta avvenuta ieri sul caso Cucchi? Insegna che “i corpi parlano”. E il corpo del 32enne romano morto il 22 ottobre 2009 nel reparto per detenuti dell’Ospedale Sandro Pertini, non solo parlava, ma urlava una verità che in tutti i modi si è cercato di aggirare. La urlava in particolare alla coscienza ferita di sua sorella Ilaria, che non si è mai data pace perché alle evidenti violenze fisiche che avevano causato la morte di suo fratello non dovessero aggiungersi anche le violenze delle continue menzogne raccontate sulla sua fine. Ora l’inchiesta bis condotta dal procuratore di Roma Giovanni Musarò e dal sostituto Giuseppe Pignatone si è conclusa con le accuse di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità per i tre carabinieri che la sera del 15 ottobre avevano arrestato Stefano Cucchi in flagranza di reato per detenzione di droga. È una conclusione che prelude ad una richiesta di rinvio a giudizio che riguarderà, con reati diversi, anche le altre persone che hanno tenuto in piedi la versione che cercava di far tacere in tutti i modi quel “corpo che parlava”.



Ora bisognerà attendere il processo e verificare le accuse che i procuratori hanno circostanziato. E la conferma eventuale delle accuse non dovrà trasformarsi in accusa generalizzata verso le forze dell’ordine. Ma quella che è maturata ieri è una sorta di rivincita della realtà: tra la ricostruzione dei fatti avanzata dalla procura di Roma e la realtà concreta del corpo martoriato di Cucchi non c’è più quell’intollerabile discrasia che invece ci faceva gridare allo scandalo quando sentivamo le improbabili ricostruzioni dei testimoni che oggi sono passati sul banco d’accusa. 



Sui capisce oggi la scelta dolorosamente istintiva di Ilaria di usare in questi anni di battaglia, come manifesto delle sue ragioni, proprio la gigantografia del volto di Stefano sul tavolo dell’obitorio. Un volto tumefatto, volto di passione, con il quale in questi anni ci siamo abituati a convivere, un volto che non poteva lasciare tranquille le coscienze. Ora l’errore sarebbe quello di ricavare da questa vicenda tragica dei teoremi; di scappare un’altra volta dalla realtà trasformando un caso tragico, che riguarda una precisa persona, e che ha con molta probabilità dei precisi responsabili con nomi e cognomi, in un fatto da strumentalizzare per altri fini. Il corpo di Stefano Cucchi chiede giustizia, ma chiede anche rispetto. Rispetto di quel dolore subìto, delle lacrime che sono state versate. Rispetto della grande dignità mostrata da chi ha combattuto perché si arrivasse a una verità.    

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