Un panorama apocalittico. Una montagna che avrebbe dovuto essere meta di svago, di divertimento, di silenzio e riflessione. Invece l’unico silenzio di queste ore è quello di risposta ai soccorritori che urlano davanti alla montagna “C’è qualcuno?”. Ma nessuno risponde. 

L’albergo di Rigopiano era un luogo di vacanza, un hotel con la piscina riscaldata e il cielo a vista, grazie a una cupola di vetro che immergeva nella montagna. Costruito negli anni Settanta, era stato reso famoso negli anni passati quando ebbe come testimonial Barbara D’Urso. “L’Hotel Rigopiano era il mio nido nel quale mi rifugiavo quando non ero in diretta, l’ho fatto per anni fino a qualche mese fa. Le foto che pubblico spesso dei miei amati cani in montagna sono i cani che vivono lì. Conosco tutte le persone meravigliose che ci lavorano e che ora verranno salvate, io sto pregando per questo. Alberto, Marinella, Fabio e tutti gli altri… Prego per i soccorritori che in questo momento stanno facendo l’impossibile”, ha scritto la conduttrice sulla sua pagina Facebook.



Adesso dell’albergo rimangono macerie travolte dalla slavina e trascinate per metri. Uno spostamento che ha reso ancor più difficile i soccorsi. Trentacinque persone in tutto erano nell’albergo al momento della tragedia, tra clienti e personale, molti già con la valigia nella hall per andare via, in attesa di un mezzo che liberasse la strada. Quel mezzo non è mai arrivato. Il direttore dell’albergo, Bruno Di Tommaso, ha raccontato a Canale 5 la sua testimonianza. “Ero sceso per coordinare da Pescara le operazioni di soccorso per lo sgombero neve — spiega — poi la situazione alle 17 è precipitata. Per questo non ero lì”. Il direttore stava comunicando con messaggi con il nipote, gestore dell’albergo, Roberto Del Rosso. “L’avevo sentito alle 16 — ha detto Di Tommaso — attraverso messaggini, stavo aggiornando i ragazzi sulla situazione. Roberto era preoccupato per la tanta neve. Tutto lo staff era radunato al bar, mentre gli ospiti si trovavano nella hall perché stavano per andare via”.



Serviva uno spazzaneve, richiesto, annunciato, atteso. Ma mai arrivato. Anche per la bufera in corso. E’ quanto emerge nelle prime ricostruzioni. Nel pomeriggio di ieri una denuncia sui ritardi dei soccorsi, con accusa alla Prefettura, è stata lanciata ai microfoni Rai da Quintino Marcella, docente all’alberghiero, ristoratore e datore di lavoro di Giampiero Parete, il superstite della valanga che proprio al ristoratore aveva lanciato l’allarme. “Ho chiamato la Polizia che mi ha passato una coordinatrice della Prefettura la quale mi ha detto ‘abbiamo parlato due ore fa col direttore dell’albergo e lì non c’è nulla’. Io ho insistito affinché mandassero i soccorsi, ma mi è stato detto che non era successo nulla. Ho provato a chiamare anche gli altri e forse questo ha ostacolato i soccorsi. Ho chiamato tutti, 113, 112, 118, 117, 115, oltre a messaggi ad amici e in paese. A Giampiero dicevo che stavamo arrivando, non pensavo ci fossero tutte queste difficoltà”. 



Dichiarazioni che adesso diventeranno cardine nell’inchiesta aperta dalla Procura di Pescara per omicidio colposo. Uno dei superstiti si è salvato perché uscito dall’albergo per prendere una cosa in macchina. Ma sotto le macerie sono rimasti moglie e figli. Si piange, si prega, ma prevale la disperazione. Quattro morti ufficiali, due salvi perché all’esterno della struttura al momento della valanga, due trovati in vita. Gli altri sono ufficialmente dispersi e nella notte le ricerche continuano.

Il dramma dell’albergo di Rigopiano, travolto e distrutto da una slavina, dove la conta dei morti cresce di ora in ora e contestualmente diminuiscono le speranze di trovare ancora in vita chi manca all’appello, rischia di essere solo la punta di un iceberg. Già le prime cronache di queste ore parlano di decine di dispersi, di due persone morte a Brittoli, paesino delle montagne pescaresi, dove una coppia di anziani è morta a seguito delle esalazioni di monossido di carbonio sprigionate da un generatore di corrente. Erano senza energia elettrica da 72 ore. Non sono i soli. 87mila utenze senza energia elettrica dopo oltre tre giorni. Che tradotto significa almeno 200mila persone che non possono riscaldarsi, che non possono lavarsi, che vivono al freddo, senza poter cucinare. Persone che abitano in paesi invasi dalla neve, senza alcun tipo di comunicazione con il mondo, cellulari scarichi, linee telefoniche interrotte. Personalmente non ho notizie di amici che vivono in montagna da quando ha cominciato a nevicare, prima ancora delle forti scosse di terremoto. Sono fiducioso, sono giovani, alcuni intraprendenti. Ma accanto a loro ci sono case di anziani, famiglie con bambini piccoli, malati, disabili. Persone che hanno bisogno di assistenza, di cure, di medicine. Di loro si sa nulla, se non che metri di neve bloccano porte e finestre.

Centinaia di soccorritori si stanno adoperando, ma forse sono arrivati troppo tardi un po’ dappertutto. Non per colpa loro ma per l’assenza di mezzi meccanici sul posto, pronti ad affrontare quell’emergenza maltempo preventivata da giorni, che aveva consentito alle Prefetture di Abruzzo e Marche di lanciare l’allarme arancione. Molti sindaci avevano firmato ordinanze di chiusura delle scuole, alcuni avevano azzardato anche di concedere il giorno di vacanza agli uffici pubblici. Adesso si pensa alle persone, a salvare vite umane, a prestare soccorso a chi soffre, a chi viene trovato in stato di ipotermia nelle proprie case. Tra qualche giorno a ciò si aggiungerà anche una situazione dell’economia locale che non esiste più, di aziende agricole scomparse, di animali morti negli allevamenti, sotto stalle crollate per il peso della neve, in luoghi diventati irraggiungibili. L’Abruzzo non è il Trentino e a questo punto l’Italia non è neanche la Germania. La neve sta già preparando, purtroppo, uno scaricabarile senza confini.