Il giorno dopo la sentenza a suo modo storica della Corte di Strasburgo sull’utero in affitto (maternità surrogata) e sul divieto di pratica laddove non vi siano specifici legami biologici con il nascituro, larga parte del mondo cattolico prende posizione con favore rispetto alla scelta della Corte europea. Intervistato stamani da Radio Vaticana, il presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli” Massimo Gandolfini ritiene come la decisione di ieri a livello europeo un passo avanti “clamoroso”. «Penso che sia davvero una sentenza storica che condanna definitivamente, ad alto livello europeo, quella che io continuo a definire una pratica incivile e abominevole: l’utero in affitto. Quindi ribadisce un concetto fondamentale: i bambini non si comprano, i bambini non sono merce che si va ad acquistare al supermercato», afferma il membro del comitato che ha organizzato il Family Day 2016. Sebbene in Italia sia ancora vietato dalla legge 40, l’iter in affitto viene visto come un possibile rischio aggirabile con pratiche all’estero, proprio quanto ha invece vietato la Corte di Strasburgo con la sentenza di ieri. «c’è anche una lenta presa di coscienza che qualsiasi legge che vada contro la vita e contro la famiglia alla fine paga male anche dal punto di vista sociale e civile. Si decompone la struttura sociale, la civiltà fa certamente un passo indietro, la demografia – uno dei cardini per potere avere una società davvero forte – viene ad esser gravemente colpita, … Quindi ci sono tutte le condizioni per capire che sul piano politico, sociale, economico, appoggiare e favorire la vita, la maternità, la famiglia è, anche un questo senso, un investimento positivo». 



Clamorosa decisione della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo che ribalta la decisione della stessa Corte nello scorso 27 gennaio 2015 sulla possibilità di utero in affitto “particolare”: «Una coppia non può riconoscere un figlio come suo se il bimbo è stato generato senza alcun legame biologico con i due aspiranti genitori e grazie ad una madre surrogata». Questa è la sentenza della Corte dei diritti umani che ribalta il pronunciamento che aveva dato torto allo stato italiano nel caso di una coppia di Colletorto (Campobasso); come riporta l’Avvenire, «con una ?sentenza ?non più appellabile che ha in sostanza ribaltato il primo grado, la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (che dipende dal Consiglio d’Europa e non ha niente a che fare con l’Ue) ha dato ragione allo Stato italiano su una vicenda ormai ben nota, quella che riguarda Donatina Paradiso e Giovanni Campanelli». Di fatto, con questa sentenza viene reso assai più difficile il ricorso alla maternità surrogata all’estero negli stati dove è riconosciuta legalmente per poi portare il figlio adottato in Italia, dove è invece vietata come pratica: infatti in questo modo la Corte accoglie la questione sollevata dal Governo Italiano, per cui viene confermato il diritto dello stesso Stato a non premiare le coppie che ricorrano ai servizi di maternità surrogata (utero in affitto) in Paesi in cui sono legali concedendo poi loro di adottare il bimbo concepito in questo modo. «Se avesse invece prevalso l’orientamento del primo grado, di fatto il divieto di maternità surrogata sarebbe stato svuotato di ogni significato», segnala l’Avvenire.



La decisione della Corte di Strasburgo sulla maternità surrogata è un caso che nasce da lontano e riguarda in primissima fila proprio l’Italia: «l’Italia non ha violato il diritto di una coppia sposata negando la possibilità di riconoscere come proprio figlio un bambino nato in Russia da madre surrogata», , si legge nella sentenza. Un anno fa la decisione era stata di segno opposto con la condanna dell’Italia perché non ha dimostrato che l’allontanamento del bambino dalla coppia era necessario: il caso viene riportato da Il Fatto Quotidiano e dalle principali agenzie italiane. «Dopo aver tentato la fertilizzazione in vitro con i propri gameti in Italia, la coppia aveva deciso di andare in Russia per ricorrere alla maternità sostitutiva, dove la pratica è legale. Era così nato un bimbo riconosciuto dalle autorità russe e iscritto all’anagrafe di Mosca come figlio legittimo della coppia». Ma una volta tornati a casa i due si erano  visti negare la trascrizione dell’atto di nascita nell’anagrafe italiana. La Corte però ha dato ragione all’Italia in questa seconda sentenza, «le misure contestate hanno perseguito l’obiettivo legittimo di prevenire disordine e proteggere i diritti e le libertà degli altri. A questo riguardo (la Corte ndr) considera legittimo il desiderio delle autorità italiane di riaffermare la competenza esclusiva dello Stato di riconoscere la relazione parentale legale di un bambino, e questo esclusivamente nel caso di un legame biologico o di un’adozione legale, con l’obiettivo di proteggere i bambini. La Corte ha accettato che le corti italiane, avendo concluso in particolare che il bambino non avrebbe sofferto di danno grave o irreparabile, come risultato della separazione, hanno trovato un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco».

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