Quello che si gioca domenica a Melbourne (quando in Italia è ancora mattina) non è una semplice partita di tennis. Sul quel rettangolo di cemento blu andrà in scena un’assoluta opera d’arte. Si ritrovano uno contro l’altro due giocatori superiori, due geni della pallina che hanno dominato la scena sino a pochi anni fa e che ora tutti pensavano sulla strada di un inevitabile declino. Che Roger Federer e Rafa Nadal siano giocatori superiori lo dimostra invece proprio il fatto che, dati sportivamente per “morti”, abbiano trovato l’energia mentale per tornare al vertice al punto di disputare una finale di un torneo del grande slam. Uno di quei tornei lunghi e faticosissimi, in cui le partite sono tutte ai cinque set. Federer e Nadal sono arrivati all’ultimo atto vincendo due sfide feroci di semifinale, arrivate in entrambi i casi al quinto set, contro avversari più giovani e in grande spolvero. 



Le hanno vinte nonostante i loro fisici portino le stigmate di guai di ogni tipo. Nonostante vengano da un’ennesima “ricostruzione” che in nessun altro caso avrebbe permesso di avvicinarsi ai vertici. Le hanno vinte non perché abbiano fame di vittoria, con tutti quei tornei e quei milioni di dollari già in cassaforte. Le hanno vinte perché Federer e Nadal hanno la vittoria nel loro dna. Possono trovarsi a dover combattere all’ultimo sangue, ma alla fine lasciano prevalere una sensazione di scioltezza, di dimestichezza con il vincere. 

Federer e Nadal in realtà rappresentano due modi opposti di interpretare il tennis. Federer è il tennis portato al suo punto sublime. Per Foster Wallace, che sul campione svizzero aveva scritto pagine meravigliose, vedere Roger in campo era “un’esperienza religiosa” (proprio questo era il titolo del pamphlet che gli aveva dedicato). Aveva scritto DFW: “I movimenti del suo servizio sono flessuosi e sobri, si distinguono (in tv) solo per il guizzo anguillaceo dell’intero corpo al momento dell’impatto. L’intuizione e il senso del campo sono portentosi, il gioco di gambe non ha uguali nel tennis… Tutto vero, eppure non spiega niente né evoca l’esperienza di guardare questo giocatore in azione. Di assistere, con i propri occhi, alla bellezza e al genio del suo tennis”.

Nadal invece è il tennis portato al massimo della sua energia. Se Federer usa la racchetta come un fioretto, Nadal invece la concepisce come una clava. Il suo dritto è di una tale potenza da spingere gli avversari fuori dal campo, com’è accaduto ieri al pur fortissimo Dimitrov. Se la magia di Federer è nell’infinita e imprevedibile varietà di colpi (in semifinale ha fatto punti anche giocando di spalle), Nadal è invece la sistematicità implacabile con cui demolisce gli avversari grazie ad un colpo che arriva come una frustata tremenda e a cui nessuno riesce a trovare le contromisure: è il dritto a uncino, un colpo micidiale, con una rotazione della palla devastante per l’avversario che, appena tocca il suolo, se la trova già oltre la spalla costringendolo a colpire sempre e solo in difesa. Per capire: la palla di Nadal compie 4.900 giri al minuto. Quella degli altri (Federer compreso) ruota in media a 2.700 giri. 

Domenica si troveranno uno di fronte all’altro nella finale di un torneo del grande slam sei anni dopo. L’ultima volta era successo a Parigi nel 2011. Allora vinse Nadal, ma questo è un fatto del tutto secondario. Infatti quando quei due si trovano di fronte, il risultato è un aspetto del tutto ininfluente, perché il loro tennis è di una tale opposta bellezza, da risultare vincente a prescindere. Ma quella di domenica non sarà una finale qualunque. Perché sembra un appuntamento con il destino, voluto dal “dio” del tennis. Chi può non lo perda.