Vittorio Sgarbi è uno dei personaggi più controversi del mondo culturale italiano: critico d’arte e spesso opinionista in vari programmi televisivi è conosciuto non solo per le sue vaste conoscenze, ma anche per il modo in cui aggredisce i suoi eventuali interlocutori. L’ultima persona che ha deciso di attaccare è stata Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati, per il fatto che la donna si sia sempre battuta per un adeguamento del linguaggio parlamentare e politico a parametri che rispettino la parità di genere. “Cara presidenta Boldrina, ci dica chi è lei. Lei è la grammatica? Lei stabilisce che non è giusto chiamare ministro una ministra e sindaco una sindaca. Lei perché si chiama presidente? Perché presidente è un termine neutro, ma allora perché non presidentessa? Napolitano ha detto una cosa semplice: che i ruoli prescindono dai sessi, non si applicano ai sessi. Tu sei una capra, una zucca vuota. Non un capro per fortuna”, ha detto Vittorio Sgarbi in un video che potete vedere qui.



In realtà quello del linguaggio politicamente corretto di cui parla Vittorio Sgarbi è un annoso problema che da anni interessa i più eminenti studiosi della lingua italiana e delle disparità di genere insite nelle parole che pronunciamo ogni giorno. La stessa Accademia della Crusca, istituzione che raccoglie i più eminenti studiosi della lingua italiana a livello nazionale, si stanno interrogando da anni sul tipo di linguaggio corretto da adottare. In un articolo apparso sul sito dell’Accademia della Crusca, si legge: ” Le risposte più frequenti adducono l’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera), la presunta bruttezza delle nuove forme (ministra proprio non piace!), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne. Ma non è vero, perché maestra, infermiera, modella, cuoca, nuotatrice, ecc. non suscitano alcuna obiezione: anzi, nessuno definirebbe mai Federica Pellegrini nuotatore. Le resistenze all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, celatamente, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondatamente linguistiche”. Chi ha quindi ragione, Vittorio Sgarbi o Laura Boldrini?



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