Fadi al-Qanbar è l’ennesimo nome che entra nel triste elenco degli attentatori che in questi ultimi due anni hanno insanguinato il pianeta. Il teatro della strage questa volta è stata Gerusalemme, città dalle mille contraddizioni dove le ragioni dell’Isis si mescolano e si confondono con quelle di Hamas e dove la linea dei buoni e dei cattivi non è così facilmente tracciabile. Un camion, anche questo familiare agli europei di Nizza e di Berlino, si getta su un manipolo di soldati israeliani appena scesi da un autobus uccidendone quattro e ferendone quindici, passando avanti e indietro sui corpi martoriati e provocando la reazione degli altri militari presenti che uccidono l’uomo con pochi colpi precisi e pensati. 



Molti i contorni e le commistioni da verificare e molte considerazioni potrebbero nuovamente essere fatte, ma il punto non è questo. Il dilagare dell’odio pone ad ogni latitudine una domanda sulla natura del male che non è più eludibile. Da dove viene questa cieca forza di distruzione? Dove affonda le sue radici ogni ideologia di morte e di sterminio? Benedetto XVI direbbe, con la sua spiazzante semplicità, dall’assenza di Dio. Ma il teologo bavarese non si accontenterebbe di queste tre parole e scenderebbe in profondità fino ad incontrare un terreno comune con tutti gli uomini: è l’assenza d’amore che genera il male. Noi odiamo quando non ci sentiamo amati, quando abbiamo paura di non esserlo. 



Per molti fondamentalisti è il comportamento di noi occidentali che toglie l’amore di Dio dal mondo. Eliminando noi, Dio torna e con lui torna l’amore, torna il bene, torna la felicità cui abbiamo diritto, quella felicità che un giorno — in segreto — ci è stata da qualche parte promessa e che la storia, matrigna cattiva, sembra non donarci. Non ce la dona l’amore, non ce la donano gli amici, i figli, i genitori, i colleghi, i compagni, la politica, le stelle. Ed è allora che odiamo e diventiamo violenti. Molte volte si critica Francesco per il suo silenzio sul fondamentalismo islamico o per la sua equiparazione ad un — si dice improbabile — fondamentalismo cattolico. Ma il Papa ha abolito le strette categorie dell’Occidente che tendono a qualificare tutto, scegliendo, al contrario, di parlare delle categorie dell’umano, del male che c’è nell’uomo, in ogni uomo. Quel male che nasce dall’assenza del bene e che ci rende rabbiosi e vendicativi, veloci all’ira e schiavi dei nostri impulsi.  



Alla fine siamo solo ostaggi del nostro dolore, uomini che uccidono sperando di colpire — con le parole o con le armi — il proprio carceriere. Abbiamo solo paura della nostra povertà, di quell’argine che ci mostra che il nostro cuore non potrà mai trovare pienezza nelle sicurezze di questo mondo. Aspettiamo solo un gesto di liberazione, una carezza di tenerezza. Solo che, non sapendo più come si fa ad attenderlo e a chi chiederlo, cominciamo a pretenderlo, a rubarlo, a estorcerlo con il solo linguaggio che con l’amore sembra essere davvero universale, quello della violenza. Una violenza che uccide a Gerusalemme, a Istanbul, a Parigi. Una violenza che, forse, a ben vedere uccide anche in casa nostra.