Per provare a risolvere parte del prole terrorismo anche all’interno del nostro Paese – sempre presente il rischio attentato in Italia anche per il nuovo anno appena cominciato – uno dei punti ineludibili del programma di sicurezza è il maggior filtro e controllo alle frontiere, sopratutto dall’Africa. La Libia, dopo la caduta di Gheddafi, è di fatto il porto ideale per i tantissimi sbarchi di migranti nel nostro Paese e purtroppo spesso anche cellulare Isis o terroristi di altro genere si sono mischiati al forte afflusso di persone dimostrando come la necessità di un filtro non solo sia necessario ma di stretta urgenza. Per questo motivo il ministro degli Esteri Marco Minniti è volato oggi a Tripoli per riavviare colloquii per futuri accordi sula stabilità della Libia, la lotta contro l’immigrazione clandestina, il controllo delle frontiere meridionali, la lotta al terrorismo e il supporto all’operazione militare “Al Bunian al Marsus” contro lo Stato islamico. «I legami italo-libici proseguono rafforzando la cooperazione bilaterale nei settori dell’economia e dei servizi, il 95 per cento dei flussi migratori vengono dalla Libia in questo momento ed è chiaro che il fenomeno va affrontato lì», ha detto Minniti nelle prime conferenze stampa pubblici dopo i colloqui bilaterali libici.



Il tunisino arrestato ed espulso lo scorso 29 dicembre vicino a Brescia preparava un attentato forse in Italia per Capodanno: lo rivela il Correre della Sera su fonti di intelligence internazionale, riportando in auge il problema dei presunti terroristi già espulsi dal Viminale con un’ordinanza lampo dello scorso 30 novembre. Ben Dhiab Nasreddine, operato tunisino considerato membro di una rete terrorista internazionale avrebbe legami con l’Isis di Tunisi e il pericolo attentato era fissato tra la Tunisia e l’Italia proprio nello scorso ultimo dell’anno. Secondo quanto riferito dal portavoce del polo giudiziario antiterrorismo di Tunisi, attraverso il portavoce Sofie`ne Selliti, il ruolo del 22enne sarebbe stato quello di fornire materiali per gli esplosivi. Non solo, il giovane aveva ricevuto indicazioni da una persona a lui vicina di compiere attentati in Italia per ritorsione contro le operazioni in Libia.



I rischi del terrorismo e di un attentato in Italia purtroppo non sono bassi e a parte l’allarmismo da psicosi a cui bisogna altrettanto badare di non esagerare con i toni, il problema della presenza dell’Isis sul nostro territorio è purtroppo una realtà quotidiana. Già vi parlavamo nei giorni scorsi del problema a Sassari in Sardegna per la presenza di alcune cellule Daesh incarcerate nei mesi scorsi ma che possono rappresentare comunque un pericolo anche all’interno del carcere di Bancali. Tra i 18 terroristi, o presunti tali, rinchiusi nel carcere di Bancali ci sono tanti nomi di spicco e qualche “manovale” della jihad; tra questi anche il noto “pugile” dell’Isis, ovvero quel Abderrahim Moutaharrik, 27enne marocchino, campione di kickboxing e noto appunto come “il pugile”. Arrestato in Italia lo scorso aprile venne accusato subito di terrorismo internazionale e legami stretti con lo Stato Islamico: si temeva un suo “tazkia” ovvero il ricevere il nulla osta dal Califfo di arruolarsi come diretto martire di Allah. Pare fosse pronto a farsi esplodere in Vaticano a Roma, come racconta Mauro Pili, parlamentare del Gruppo Misto e leader di Unidos, che domenica mattina ha ispezionato il carcere alla periferia di Sassari. «Parlava speditamente e mi ha fatto capire che questo tipo di carcerazione aumenta la radicalizzazione anche perché si professa innocente. Come tutti».



In seguito agli ultimi attacchi dell’ISIS è inevitabile che un crescendo di preoccupazione interessi anche i cittadini italiani. Dopo le parole del Prefetto Franco Gabrielli, il Capo della Polizia, a sottolineare che un attacco al nostro Paese sia da mettere in preventivo è una voce anonima dell’intelligence nostrano. Non si tratterebbe, a suo dire, di stabilire se avverrà o meno un attentato in Italia, ma quando e dove. Fino ad ora abbiamo potuto contare su una forte protezione da parte di autorità ed intelligence, corroborata dall’esperienza degli agenti sul terrorismo, maturata sul campo. E non solo: l’immigrazione in Italia non avrebbe ancora raggiunto numeri importanti da spingerci in prima linea, anche se il problema più significativo è rappresentato dai lupi solitari, ovvero da quegli uomini che agiscono in totale autonomia e che possono quindi sfuggire all’occhio attento dell’intelligence. Spesso, spiega l’anonimo a Il Mattino, i lupi solitari non hanno alcun contatto con i vertici del Daesh, annullando così l’attività di prevenzione delle autorità. 

I lupi solitari sarebbero pericolosi, ma non quanto i foreign fighters. Questi ultimi hanno una maggiore abilità di pianificazione e dimestichezza nell’uso delle armi rispetto ai “cugini”. Gli ultimi dati rilevati parlano comunque di 110 foreign fighters che dall’Italia si sono diretti in Siria, un numero basso se si considerano gli altri Stati Europei. Per fare un esempio, in Francia sono partiti 1.500 uomini. Non bisogna tuttavia fare l’errore di prendere sotto gamba la situazione, dato che i lupi solitari hanno dalla loro parte la posibilità di addestrarsi sul web e possono dare vita ad attentati in qualsiasi momento. “In gergo chiamiamo questo fenomeno homegrown”, rivela il membro anonimo dell’Intelligence italiana a Il Mattino, “viene coltivato in casa nostra ed è scollegato dalle grandi organizzazioni mondiali o dalle moschee”. Il Daesh ha inoltre a proprio vantaggio la possibilità di raggiungere più soggetti e variegati rispetto ad al-Qaeda. E tutto questo senza considerare che spesso la minaccia si nasconde proprio fra i nostri connazionali, italiani che hanno deciso di convertirsi all’Islam e propagano il jihad.