Don Maurizio Patriciello, nel contenitore di Rai 1 “A Sua Immagine” ha intervistato l’ex mafioso Santino Di Matteo, coinvolto nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, oggi collaboratore di giustizia. Uno uomo che, come sottolineato da Don Patriciello, si è macchiato le mani di sangue, ma che ha deciso di risalire in maniera faticosa la china, allontanandosi dal peccato dopo la sua conversione. Spiega Di Matteo: “Ho incontrato un sacerdote che si è rivelato per me un vero amico, un fratello e un padre allo stesso momento. Risalendo negli abissi in cui ero caduto, il cielo diventa sempre più limpido.” A 25 anni dalla strage di Capaci, Di Matteo ricorda il suo ruolo: “Presi con Bagarella degli accordi, avevo un fuoristrada e ho portato un bidone di polvere esplosiva a Capaci. Se avessi detto di non essere d’accordo, avrei fatto la fine degli altri: sapevo che sarebbe accaduto qualcosa ma non sapevo quando, la notizia della strage mi è stata comunicata da La Barbera in piazza.”
“IL MIO PENTIMENTO HA SALVATO DELLE VITE”
“Mi ero reso conto che la mafia aveva perso il controllo ancor prima delle stragi, ma già con omicidi eccellenti che erano avvenuti in precedenza. A farmi diventare collaboratore di giustizia è stato il cuore, che bruciava a me e a quelli come me vedendo quello che stava succedendo, comprendendo come la ragione stesse dall’altra parte rispetto a dove ci trovavamo noi. Il cuore mi ha spinto a fare del bene, anche se ovviamente per alcune persone non posso essere perdonato. Ma nei riguardi delle persone e di Gesù Cristo ho fatto il mio dovere, salvando vite umane e soprattutto fermando la macchina criminale, che era diventata una vera macchina da guerra. Senza le mie testimonianze, ancora altri sarebbero morti.” Dopo il pentimento, il figlio di Santino Di Matteo viene rapito e tenuto prigioniero 779 giorni, negli ultimi 6 mesi in un casolare a San Giuseppe Iato, in cui il bambino sarà strangolato e poi sciolto nell’acido. Il prezzo più alto da pagare per un padre.
FU BRUSCA IL CARNEFICE DEL PICCOLO GIUSEPPE
Fu Giovanni Brusca a decidere la sorte del piccolo Giuseppe, nonostante il bambino avesse un rapporto paterno con lo stesso Brusca. “Con l’assassinio di mio figlio la mafia e Riina hanno toccato il fondo, colpendo un bambino. Quello è stato il colpo più basso.” La conversione è stata successiva: “E’ il frutto di un lavoro durato anni. Io parlo ancora spesso con mio figlio, ha perso la vita da innocente ma per me è vivo e gli voglio ancora un bene da morire.” Il ricordo di Don Maurizio Patriciello è del passo del Vangelo in cui il padre chiede ai due figli di andare a lavorare nella vigna: il primo disse di no ma poi andò, il secondo disse di sì ma non andò. In questo modo viene spiegato come il pentimento e le azioni, se sincere, vengono accolte dal perdono di Dio anche se in precedenza si è fatto del male. E Santino Di Matteo, nonostante una storia di mafia durissima da ricordare, resta protagonista e artefice del suo nuovo destino con il suo pentimento.