L’udienza generale del mercoledì di Papa Francesco, tenuta come di consueto in Piazza San Pietro a Roma, ha vissuto il fulcro della lezione su un concetto particolare e non “consueto” come quello della “pazienza” e dell’”attesa vigilante”. Secondo Bergoglio la dimensione della speranza nell’uomo cristiano non può essere scambiata con una inoperosità e inazione: «Il tema della vigilanza è uno dei fili conduttori del Nuovo Testamento. Gesù predica ai suoi discepoli: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito”», spiega il Pontefice davanti alla folla accorsa per l’udienza generale. Un’esistenza laboriosa ci è richiesta, ma anche qui senza una reale “imposizione” dogmatica, ma per un semplice assunto: «Gesù vuole che la nostra esistenza sia laboriosa, che non abbassiamo mai la guardia, per accogliere con gratitudine e stupore ogni nuovo giorno donatoci da Dio. Ogni mattina è una pagina bianca che il cristiano comincia a scrivere con le opere di bene. Noi siamo già stati salvati dalla redenzione di Gesù, però ora attendiamo la piena manifestazione della sua signoria: quando finalmente Dio sarà tutto in tutti».
Il Papa richiama in realtà a quel bene che all’uomo stesso produce nel far del bene: non è un invito ad una indistinta “benevolenza” o “attivismo positivo”, ma una prova richiestaci per verificare se quanto Gesù ci ha donato è effettivamente un tesoro di cui non possiamo poi più fare a meno. Liberi, e non oppressi, dalla speranza: «Il cristiano non è fatto per la noia; semmai per la pazienza. Sa che anche nella monotonia di certi giorni sempre uguali è nascosto un mistero di grazia. Ci sono persone che con la perseveranza del loro amore diventano come pozzi che irrigano il deserto. Nulla avviene invano, e nessuna situazione in cui un cristiano si trova immerso è completamente refrattaria all’amore. Nessuna notte è così lunga da far dimenticare la gioia dell’aurora. E quanto più oscura è la notte, tanto più vicina è l’aurora», spiega ancora Francesco.
“SIAMO CHIAMATI AD ESSERE RESPONSABILI DEL BENE CHE GESÙ CI HA DONATO”
L’invito del Papa sulla nostra “attesa vigilate” è diretto e produce quel senso di responsabile cui ogni uomo o donna cristiana è chiamato a vivere nella propria vita: «In questo tempo che segue la risurrezione di Gesù, in cui si alternano in continuazione momenti sereni e altri angosciosi, i cristiani non si adagiano mai. Il Vangelo raccomanda di essere come dei servi che non vanno mai a dormire, finché il loro padrone non è rientrato. Questo mondo esige la nostra responsabilità, e noi ce la assumiamo tutta e con amore. Gesù vuole che la nostra esistenza sia laboriosa». Quel bene all’uomo è già arrivato, sottoforma di libertà e sacrificio della Sua vita per la nostra vita, un bene donato da far fruttare, come ripeteva già la parabola dei talenti: «Dopo aver conosciuto Gesù, noi non possiamo far altro che scrutare la storia con fiducia e speranza. Gesù è come una casa, e noi ci siamo dentro, e dalle finestre di questa casa noi guardiamo il mondo. Perciò non ci richiudiamo in noi stessi, non rimpiangiamo con malinconia un passato che si presume dorato, ma guardiamo sempre avanti, a un futuro che non è solo opera delle nostre mani, ma che anzitutto è una preoccupazione costante della provvidenza di Dio. Tutto ciò che è opaco un giorno diventerà luce», racconta ancora il Papa davanti alla Piazza romana.
“CHI RECA SPERANZA AL MONDO NON È MAI REMISSIVO”
Il Papa punta come un martello sul tema della provvidenza benevola di Cristo e di Dio per il cuore dell’uomo: un Dio che non smentisce mai, «non delude mai, La sua volontà nei nostri confronti non è nebulosa, ma è un progetto di salvezza ben delineato: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Per cui non ci abbandoniamo al fluire degli eventi con pessimismo, come se la storia fosse un treno di cui si è perso il controllo. La rassegnazione non è una virtù cristiana. Come non è da cristiani alzare le spalle o piegare la testa davanti a un destino che ci sembra ineluttabile». L’ultimo passaggio della sua udienza generale tratta poi il diretto nesso con la “remissività” dell’uomo davanti al destino alle volte davvero ineluttabile e misterioso: «Chi reca speranza al mondo non è mai una persona remissiva. Gesù ci raccomanda di attenderlo senza stare con le mani in mano: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli” (Lc 12,37). Non c’è costruttore di pace che alla fine dei conti non abbia compromesso la sua pace personale, assumendo i problemi degli altri».
Secondo Bergoglio la persona remissiva, che tira i remi in barca, non costruirà mai la pace proprio per la sua “pigrizia”, o peggio, tentativo di rimanere “comodo”. Un concetto di certo assai “scomodo” da dire visto che ognuno di noi nella propria esistenza cerca e ricerca più o meno spesso un momento di tranquillità e “sana pigrizia”. Il problema è quando questo elemento assuma la priorità sul resto: «La persona remissiva, non è un costruttore di pace ma è un pigro, uno che vuole stare comodo. Mentre il cristiano è costruttore di pace quando rischia, quando ha il coraggio di rischiare per portare il bene, il bene che Gesù ci ha donato, ci ha dato come un tesoro. In ogni giorno della nostra vita, ripetiamo quell’invocazione che i primi discepoli, nella loro lingua aramaica, esprimevano con le parole Marana tha, e che ritroviamo nell’ultimo versetto della Bibbia: “Vieni, Signore Gesù!”». CLICCA QUI PER IL TESTO INTEGRALE DELL’UDIENZA DI PAPA FRANCESCO