«Abbiamo ricevuto da Zurigo la notizia che Loris Bertocco ha cessato volontariamente di vivere»: è morto oggi, nello stesso giorno in cui Repubblica pubblica la lettera postuma del 59enne veneto che ha deciso di “seguire” il percorso di Dj Fabo e tanti altri che stanchi della loro vita e della loro condizione drammatica di disabili gravi decidono di non lottare più e si abbandonano alla morte “dolce” nelle strutture in Svizzere che garantiscono l’eutanasia per circa 10mila euro. La notizia è giunta oggi da Gianfranco Bettin e Luana Zanella, amici storici di Loris con cui hanno condivido le battaglie ecologiche prima e ora sulla legge del testamento biologico e il suicidio assistito. Paralizzato dopo un incidente stradale avuto a 19 anni e negli ultimi tempi anche cieco, ha meditato a lungo la scelta di porre fine alla sua vita e nella lunghissima lettera inviata a Repubblica (clicca qui per il testo integrale) spiega nel dettaglio tutti i passaggi che lo hanno portato a non avere più una speranza valida in questo mondo, una fiducia che qualcosa nella sua vita potesse ancora valere qualcosa. «Il mio appello – scrive Bertocco al termine del suo memoriale – è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità».



CHI ERA LORIS BERTOCCO

Era un attivista dei più strenui e dei più testardi: dal Movimento Vita Indipendente per le persone con disabilità fino ai Verdi, di cui è stato anche un fondatore; Loris Bertocco era malato gravemente dopo un terribile incidente stradale a 19 anni e che per 40 ulteriori ha dovuto convivere con il dramma e il peso di una vita sicuramente più difficile e ai limiti della sostenibilità. Un documento di commiato e di denuncia per la carente assistenza di cui accusa le autorità sanitarie della Regione Veneto: «Ho avuto per un periodo due assistenti, pagandole grazie all’aiuto di amici e a una festa per raccogliere i fondi. Questa situazione non poteva durare a lungo», scrive nella lunga “denuncia” Bertocco. «Il 30 marzo 1977 ho fatto un incidente stradale che avrebbe potuto portare delle conseguenze di poco conto. Un’automobile mi ha investito mentre ero in cicIomotore. In realtà l’incidente ha avuto delle conseguenze molto gravi e nell’impatto c’è stata una frattura delle vertebre C5 C6 e sono rimasto completamente paralizzato». Da qui comincia il calvario con ospedali, specialisti e cure che sono scattate subito per cercare di recuperare le funzioni principali: tre anni dopo torna a casa e le condizioni sono molto migliorate, fino però al 1982 quando cade di nuovo, in casa, scivolando con le stampelle. « Da quel momento non sono più riuscito a camminare con due stampelle in autonomia ma ho avuto bisogno di una persona che mi fosse di appoggio per tenermi in equilibrio. Avevo da ragazzo imparato a nuotare da solo e ho reimparato nel 1986 grazie all’aiuto di un istruttore di nuoto sportivo per disabili».



I RAPPORTI

La lotta fisica fa da parallelo a quella sociale per le campagne ambientaliste che Bertocco porta avanti con strenua passione e tenace impegno politico: «Ho sviluppato questa mia attitudine anche nel lavoro giornalistico che facevo alla radio. Dopo il mio incidente ho sviluppato una particolare sensibilità per i problemi dei disabili (in primis per l’abbattimento delle barriere architettoniche) e per la tutela dell’ambiente e del paesaggio (dopo l’incidente nucleare di Chernobyl). Nel 1990 sono diventato consigliere comunale per i Verdi per alcuni anni nella città di Mira. Negli anni 2004/ 2005 sono stato candidato sia alle elezioni della provincia di Venezia che per le regionali del Veneto». Una vita pienissima dal giornalismo all’attivismo che lo ha fatto incontrare moltissime persone e in tanti lo hanno aiutato: dal 1987 però la vista peggiora vistosamente, «sono stato certificato ipovedente; dal 1996 la commissione che mi ha visitato mi ha considerato cieco assoluto». Questo complica ulteriormente la sua situazione dal punto di vista della sua percezione di utilità e “compagnia” nel mondo che lo circondava: questo non ha tolto la possibilità di incontrare, affettivamente, alcune donne fondamentali per Loris. «Ho conosciuto nel 1996 Anamaria, che poi è diventata mia moglie nel giugno del 1999. Anamaria aveva una sensibilità particolare e il rapporto con lei è stato molto arricchente e positivo». Problemi economici però diventano sempre di più, con la casa strutturata per accoglierlo e in cui vivono i famigliari e la moglie Annamaria: poi tutto cambia nel 2000.



«A causa di una manovra poco accorta ed errata nel teuna successiva TC lombare ha evidenziato esiti di frattura somatica di L2 con stenosi foraminale destra L1 L2», spiega ancora Bertocco, e aggiunge nella lettera «Questo progressivo peggioramento complessivo ha portato nel 2011 mia moglie a non riuscire più ad affrontare la situazione, che in questi ultimi anni si era estremamente complicata.  Anche per lei è diventato sempre più difficile fare fronte a tutte le mie difficoltà, che erano cresciute progressivamente. Il fatto che la mia assistenza gravasse quasi completamente su di lei e che dovesse affrontare faticosamente quasi da sola la soluzione ai problemi quotidiani l’ha portata ad una situazione estrema, cioè la richiesta della separazione.  Questa scelta di Anamaria, che ha aggiunto sofferenza a sofferenza, è stata difficile da metabolizzare e ha avuto su di me delle forti ripercussioni negative. Oltre alla sofferenza emotiva  dell’abbandono, si faceva sempre più urgente il problema della mia assistenza, che non poteva non essere affrontata con urgenza».

LA SCELTA DELLA SUICIDIO ASSISTITO

Loris Bertocco inizia a pensare di non farcela più: eppure l’amore degli altri è tanto e la vicinanza, nonostante i problemi di assistenza e le crisi economiche, non rendono facile la sua vita da grave disabile paralizzato e cieco. «Questo mio progressivo peggioramento fisico mi rende comunque difficile immaginare il resto della mia vita in modo minimamente soddisfacente, essendo la sofferenza fisica e il dolore diventati per me insostenibili e la non autosufficienza diventata per me insopportabile. Sono arrivato quindi ad immaginare questa scelta, cioè la richiesta di accompagnamento alla morte volontaria, che è il frutto di una lunghissima riflessione». La mancanza di un’assistenza adeguata a livello medico per le possibilità economiche residue hanno fatto il resto, con tanti amici che hanno tentato di farlo desistere dall’idea del suicidio: ma non ci sono riusciti, vedendo quello che è successo ieri in Svizzera. «Credo in questo momento che la qualità della mia vita sia scesa sotto la soglia dell’accettabilità e penso che non valga più la pena di essere vissuta. Credo che sia giusto fare questa scelta prima di trovarmi nel giro di poco tempo a vivere in un istituto e come un vegetale, non potendo nemmeno vedere, cosa che sarebbe per me intollerabile. Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale che stanno progressivamente crescendo senza possibilità di revisione o di risoluzione positiva».

IL “PROBLEMA” DELLA LEGGE

Lo sfogo contro la politica è fortissima, dopo tanti tentativi, e si aggiunge al problema personale, affettivo e addirittura spirituale: «Perché è così difficile capire i bisogni di tante persone in situazione di gravità, perché questa diffidenza degli amministratori, questo nascondersi sempre dietro l’alibi delle ristrettezze finanziarie, anche quando basterebbe poco, in fondo, per dare più respiro, lenimento, dignità? Domande che spero possano trovare risposta al più presto affinché tante altre persone con grave disabilità possano usufruire dell’assistenza personale e di un reddito per vivere libere, con dignità, evitando l’abbandono o il ricovero definitivo in qualche istituto». L’impegno estremo di Loris passa dunque per l’appello al nuovo testo sul Testamento Biologico e sul suicidio assistito, dopo il caso di Dj Fabo e dopo la battaglia dei Radicali. Il rimpianto arriva con queste parole scritte poco prima di morire: «Sono convinto che, se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata, come ho già detto, avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei magari rinviato di un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ma questa scelta l’avrei compiuta comunque, data la mia condizione fisica che continua progressivamente a peggiorare e le sue prospettive. Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria».

L’addio è veloce, rapido, con l’amore ricevuto da tanti che viene portato con Loris fino in Svizzera ma con la coscienza di chi non aveva più nulla di valido per cui soffrire e rimanere in vita: «Porto con me l’amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa scuotere un po’ di coscienze ed essere di aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario. Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini e che proseguiranno la battaglia per il diritto ad una vita degna di essere vissuta». Queste ultime parole fanno capire ancora di più la problematica forte anche nella legge in oggetto in Parlamento sull’estrema necessità di un rapporto il più possibile stretto e collaborativo tra il medico e il paziente: come racconta Lucio Romano, esponente di Democrazia solidale e componente della Commissione sul testo di legge, «Ho presentato pochi elementi al testo sulle Dat – spiega – ma tutti orientati al riconoscimento dell’alleanza di cura, nella coniugazione tra autonomia del paziente e competenza del medico, tra sofferenze e cure palliative, tra accompagnamento e pianificazione condivisa delle cure, tra dignità e proporzionalità dei trattamenti. No all’eutanasia e no all’accanimento clinico. Sì alla tutela della dignità di ogni persona, ancor più se in condizioni di particolare fragilità. Il tutto solo e soltanto per tutelare ogni paziente».