Girando per rifugi di montagna è piuttosto frequente vedere sventolare bandierine tibetane multicolori appese a cavi o pali. Da qualche mese mi capita di passare davanti ad un condominio in Brianza dove, tra due finestre, è appesa una corda da montagna con attaccate diverse di queste bandierine che, dallo stato del tessuto, sono lì già da diverso tempo; un paio di volte ne ho viste sventolare anche nel giardino di villette a schiera. Fino a poche settimane fa ce n’era una fila appese ad una fune stesa tra la roccia e la croce anche in cima alla Grignetta.
Arduo dire perché vengano utilizzate in questo modo: forse per mostrare che si è stati in Nepal, oppure semplicemente perché hanno dei colori molto belli. Difficilmente credo che i loro proprietari le espongano per il motivo per cui sono state stampate. Questi pezzi di stoffa colorata, utilizzati da secoli in Tibet e in Nepal nelle valli tra il Kumbu, la Langtang e il Ladach, sono oggetti dal forte simbolismo religioso. Le popolazioni buddiste locali le chiamano infatti “cavallini del vento” e al centro è stampata l’immagine di un piccolo cavallo dove tutt’intorno vi sono scritte preghiere, solitamente in sanscrito o in lingua tibetana: il loro nome nasce dal fatto che per i buddisti il vento della montagna legge le preghiere per poi portarle agli dei che vivono sulle vette delle montagne sacre dell’Himalaya. Negli anni 80, quando le spedizioni alpinistiche erano ancora relativamente poche, al momento di impiantare il campo base gli Sherpa, che le avevano trasportate fin lì accuratamente piegate nello zaino dentro un panno bianco, invitavano i presenti ad una cerimonia durante la quale venivano stese queste bandiere e si pregavano gli spiriti della montagna per avere buona sorte. Ora invece non c’è tenda di spedizione commerciale o di trekking che non esibisca ovunque questi simboli che vengono acquistati nei negozi di Kathmandu.
Racconto questo per ricordare, anche senza parlare di croci, che la tradizione di vedere nella montagna un luogo privilegiato dove porre dei simboli della memoria religiosa è comune in molte religioni.
Dalle nostre parti vi sono sulle montagne croci che hanno una grande valenza non solo cristiana ma anche per la storia e la tradizione delle genti che abitano nelle valli circostanti; quella sulla Grigna meridionale, ad esempio, non era stata piantata dai parroci della zona ma dagli alpinisti locali molti anni fa a ricordo dei loro amici morti in montagna.
Svellere dal suo basamento quella croce e decapitare la sottostante madonnina, prima ancora di un gesto di lotta contro i simboli religiosi è stato un atto di grande ignoranza e mancato rispetto per la storia della gente. Non è un caso che i primi ad accorrere sulla cima per risollevarla e cercare di darle una sistemazione provvisoria in attesa della riparazione non siano stati i ragazzi degli oratori o i sacerdoti ma proprio gli alpinisti della Valsassina, tra i quali alcuni fortissimi rocciatori, che al di là del loro credo hanno visto in quel gesto un’offesa alla loro valle.
Certo, chi gira per le Alpi sa benissimo che ci sono croci che sarebbe meglio togliere perché appaiono messe lì su una cima tanto per metterle o anche per puro esibizionismo: basti pensare alla croce alta trentasei metri con ascensore interno e terrazzo panoramico recentemente montata in Svizzera.
Molto bella a questo proposito un’intervista di qualche anno fa a Luigi Casanova, portavoce di Mountain Wilderness e ripresa anche da Avvenire (“Croci sulle vette: non banalizzare quei simboli sacri”, F. Dal Mas, 18 aprile 2013) dove l’alpinista spiega bene la differenza tra quali siano i simboli, anche moderni, che hanno un valore e il proliferare di segni messi senza una logica o con significati personalistici.
In un documento della commissione diocesana di Belluno-Feltre che si occupa delle “terre alte” si afferma: “Le nostre montagne sono una lode al Creatore senza bisogno che si aggiungano orpelli, se non quelli essenziali”, sottolineando anche che “L’importante è non strumentalizzare la sobrietà in chiave laicista”.
Gli abitanti della Valsassina restaureranno presto la croce di vetta della Grignetta, simbolo di tutti, al di là di come ciascuno la possa guardare quando, da qualsiasi via, arriva su quella vetta.